L’attivista nera dei diritti che in realtà era bianca
La biondina Rachel si è spacciata per anni per afroamericana
Nel Sudafrica dell’apartheid le avrebbero messo una matita nei capelli ricci. Uno degli aberranti test ufficiali per confermare la «razza» di una persona: se la matita non stava in piedi, la «razza» era bianca. Per fortuna Rachel Dolezal vive negli Stati Uniti. Per anni ha coltivato la capigliatura afro parlando a tutti delle sue radici «nere»: era tra i leader della storica Naacp, l’«Associazione Nazionale per la promozione delle persone di colore» fondata nel 1909. Attivista per i diritti civili, presiedeva la sezione di Spokane e insegnava alla Eastern Washington University, in un corso (ovviamente) di «Africana Studies». Nei curricula alla voce famiglia scriveva: bianca, nera e native american. Un mix «politicamente» perfetto, un po’ Obama, un po’ indiana.
La madre Ruthanne ha raccontato un’altra verità: la famiglia dell’attivista nera ha origini svedesi, tedesche, ceche, con una punta di native american. Ma neanche una goccia di sangue african-american. «Mia moglie ed io siamo entrambi di discendenza europea — ha detto il padre Larry a Buzzfeed — Siamo confusi e tristi».
E anche un po’ perfidi. Perché aspettare anni a raccontare la verità su quella figlia «non più nera»? Rachel dribbla le domande e la forzata popolarità ( 100 mila riferimenti su Twitter nella giornata di ieri). «La mia razza? Non è una domanda facile come sembra -— ha risposto allo Spokesman Review —. Ci sono molti lati complessi in questa vicenda. E non tutti li capirebbero».
Una storia complessa: Ruthanne e Larry Dolezal hanno effettivamente due figli neri. Due gemelli. Però adottati. Giurano che la sorella Rachel è la loro figlia naturale e forniscono prove fotografiche: una bambina bionda con i capelli lisci, la pelle chiara e le lentiggini. Una ragazzina bianca cresciuta però con due fratelli neri, e poi in un circolo sociale afro-americano. Fino al momento del cambiamento più radicale e, diciamo così, esteriore. Dalla capigliatura ai dati nei documenti ufficiali. La madre sostiene che Rachel ha cominciato a «fingere» intorno al 2006-2207. Dopo il divorzio dal marito. Indovinato? Afro-americano pure lui.
Più che un caso di truffa,
Ieri e oggi Rachel Dolezal, 37 anni, in una foto recente. A destra, da bambina, in un’immagine fornita dai genitori sembra la storia di un progressivo, ricercato cambio di identità. La storia di Michael Jackson che si schiarisce la pelle, in senso contrario. Poiché Dolezal figura nell Commissione di Controllo della polizia municipale, il sindaco di Spokane (Stato di Washington) ha dichiarato che si stanno effettuando indagini per determinare se Rachel ha violato le regole per l’assegnazione di posti a membri di minoranze. I media hanno cominciato a smontare l’identikit da dura e oppressa che la trentasettenne attivista ostentava: denunce di abusi razzisti, minacce, discriminazioni.
C’è chi parla di contrasti di natura economica in seno alla famiglia, litigi che avrebbero rinfrescato la memoria dei genitori inducendoli a smascherare la figlia. Quando il reporter di una tv locale l’ha incontrata chiedendole se fosse afro-americana, Rachel ha risposto di non capire la domanda e se n’è andata. C’è chi ricorda la volta in cui annunciò l’arrivo del padre in città «postando» su Internet una sua foto accanto a un anziano nero. Sui social network è cominciato il dibattito: la finta nera Rachel ha danneggiato la causa delle persone di colore? Broderick Greer su Twitter vede il caso con ironia: «Un nero, per ricevere tutte queste attenzioni, deve per forza essere bianco».
@mikele_farina