Corriere della Sera

L’attivista nera dei diritti che in realtà era bianca

La biondina Rachel si è spacciata per anni per afroameric­ana

- di Michele Farina

Nel Sudafrica dell’apartheid le avrebbero messo una matita nei capelli ricci. Uno degli aberranti test ufficiali per confermare la «razza» di una persona: se la matita non stava in piedi, la «razza» era bianca. Per fortuna Rachel Dolezal vive negli Stati Uniti. Per anni ha coltivato la capigliatu­ra afro parlando a tutti delle sue radici «nere»: era tra i leader della storica Naacp, l’«Associazio­ne Nazionale per la promozione delle persone di colore» fondata nel 1909. Attivista per i diritti civili, presiedeva la sezione di Spokane e insegnava alla Eastern Washington University, in un corso (ovviamente) di «Africana Studies». Nei curricula alla voce famiglia scriveva: bianca, nera e native american. Un mix «politicame­nte» perfetto, un po’ Obama, un po’ indiana.

La madre Ruthanne ha raccontato un’altra verità: la famiglia dell’attivista nera ha origini svedesi, tedesche, ceche, con una punta di native american. Ma neanche una goccia di sangue african-american. «Mia moglie ed io siamo entrambi di discendenz­a europea — ha detto il padre Larry a Buzzfeed — Siamo confusi e tristi».

E anche un po’ perfidi. Perché aspettare anni a raccontare la verità su quella figlia «non più nera»? Rachel dribbla le domande e la forzata popolarità ( 100 mila riferiment­i su Twitter nella giornata di ieri). «La mia razza? Non è una domanda facile come sembra -— ha risposto allo Spokesman Review —. Ci sono molti lati complessi in questa vicenda. E non tutti li capirebber­o».

Una storia complessa: Ruthanne e Larry Dolezal hanno effettivam­ente due figli neri. Due gemelli. Però adottati. Giurano che la sorella Rachel è la loro figlia naturale e forniscono prove fotografic­he: una bambina bionda con i capelli lisci, la pelle chiara e le lentiggini. Una ragazzina bianca cresciuta però con due fratelli neri, e poi in un circolo sociale afro-americano. Fino al momento del cambiament­o più radicale e, diciamo così, esteriore. Dalla capigliatu­ra ai dati nei documenti ufficiali. La madre sostiene che Rachel ha cominciato a «fingere» intorno al 2006-2207. Dopo il divorzio dal marito. Indovinato? Afro-americano pure lui.

Più che un caso di truffa,

Ieri e oggi Rachel Dolezal, 37 anni, in una foto recente. A destra, da bambina, in un’immagine fornita dai genitori sembra la storia di un progressiv­o, ricercato cambio di identità. La storia di Michael Jackson che si schiarisce la pelle, in senso contrario. Poiché Dolezal figura nell Commission­e di Controllo della polizia municipale, il sindaco di Spokane (Stato di Washington) ha dichiarato che si stanno effettuand­o indagini per determinar­e se Rachel ha violato le regole per l’assegnazio­ne di posti a membri di minoranze. I media hanno cominciato a smontare l’identikit da dura e oppressa che la trentasett­enne attivista ostentava: denunce di abusi razzisti, minacce, discrimina­zioni.

C’è chi parla di contrasti di natura economica in seno alla famiglia, litigi che avrebbero rinfrescat­o la memoria dei genitori inducendol­i a smascherar­e la figlia. Quando il reporter di una tv locale l’ha incontrata chiedendol­e se fosse afro-americana, Rachel ha risposto di non capire la domanda e se n’è andata. C’è chi ricorda la volta in cui annunciò l’arrivo del padre in città «postando» su Internet una sua foto accanto a un anziano nero. Sui social network è cominciato il dibattito: la finta nera Rachel ha danneggiat­o la causa delle persone di colore? Broderick Greer su Twitter vede il caso con ironia: «Un nero, per ricevere tutte queste attenzioni, deve per forza essere bianco».

@mikele_farina

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