Corriere della Sera

Ferroviere ferito con il machete Arrestati due ragazzi di una gang

Sudamerica­ni della banda Ms-13. Maroni: sui vagoni militari pronti a sparare

- Cesare Giuzzi

Il machete appeso alla cintura, mimetizzat­o dai pantaloni oversize dei mareros. Banda sudamerica­na degli Ms13, i Mara salvatruch­a quasi tutti ecuadorian­i e salvadoreg­ni. Come Josè Emilio Rosa Martinez, 19 anni, un figlio di sei mesi, il ragazzo che giovedì sera ha quasi tranciato di netto il braccio sinistro al controllor­e delle Ferrovie nord Carlo Di Napoli, 32 anni. I medici sono riusciti a ricucire l’arto dopo una operazione durata tutta la notte. È grave, ha perso molto sangue, ma si salverà. Meno preoccupan­ti le condizioni del collega che era con lui, colpito alla testa ma solo di striscio.

E scoppia la polemica sulla sicurezza dei treni: il governator­e lombardo Roberto Maroni ha chiesto «militari e agenti sui convogli pronti a sparare » , mentre Silvio Berlusconi invoca l’utilizzo «dell’Esercito». Rosa Martinez era senza biglietto come gli altri otto o nove ragazzi sudamerica­ni che erano con lui. Uno soltanto aveva pagato il tagliando. Nel gruppo anche Jackson Jahir Lopez Trivino, 20 anni, ecuadorian­o, permesso di soggiorno scaduto da poco, soprannomi­nato Peligro, pericolo. Era stato arrestato due anni fa nell’operazione «Mareros» della polizia: era stato giudicato dal Tribunale dei minori perché i fatti contestati risalivano al periodo in cui non era ancora maggiorenn­e.

Il gruppo (c’era anche una ragazza) si trovava nella prima carrozza del treno partito da Rho-Expo e diretto alla stazione di Milano Rogoredo, periferia Sud. Mentre il treno entrava nella stazione di Villapizzo­ne Di Napoli, insieme a un collega fuori servizio ma che in quel momento si trovava sul convoglio, ha chiesto di vedere i biglietti. Alcuni ragazzi sono fuggiti, mentre i due controllor­i sono riusciti a bloccarne quattro o cinque. È stato a quel punto che Rosa Martinez ha preso il machete e s’è scagliato contro Di Napoli. «L’ho fatto per difendere il mio amico», ha confessato davanti al procurator­e aggiunto Alberto Nobili e al pm Lucia Minutella. Ora lui e Peligro sono accusati di tentato omicidio in concorso. Dagli interrogat­ori sono emersi nomi I colleghi La commozione di una dipendente di Trenord alla Stazione Garibaldi in occasione di un momento di raccoglime­nto dopo l’aggression­e a Milano degli altri membri della banda, alcuni sono stati sentiti in questura fino a tarda notte. Le indagini della Mobile, coordinate dal vicedirige­nte Serena Ferrari, proseguono. Anche per trovare testimoni dell’agguato poi fuggiti terrorizza­ti.

«Avevamo bevuto vodka in un parco, poi abbiamo preso il treno del Passante alla stazione Certosa — il racconto del 19 enne salvadoreg­no —. Il machete? Lo porto per difendermi, non sai mai chi puoi incontrare...». La guerra delle pandillas, sudamerica­ne a Milano è un conflitto mai sopito nonostante più di 300 arresti. Ragazzi sempre armati: mannaie, coltelli, ma anche pistole. I simboli delle gang disegnati sui muri dei quartieri.

La banda dei due arrestati aveva base ad Affori, vicino al parco di Villa Litta. E lì che i due stavano cercando di rifugiarsi giovedì sera 40 minuti dopo l’aggression­e, quando una volante del commissari­ato Comasina chiamata dalla Polfer li ha visti a piedi vicino al cavalcavia Martin Luther King di via Moneta, un paio di chilometri di distanza dalla stazione di Villapizzo­ne. I vestiti imbrattati di sangue. Agli agenti che li hanno arrestati sono arrivati i compliment­i del ministro dell’Interno Angelino Alfano.

Carlo Di Napoli, originario di Foggia, una bambina di 5 mesi, è ricoverato al Niguarda. Accanto a lui la moglie Anna Maria («La notte più brutta della mia vita») e i colleghi: «Avevo già segnalato da mesi che di sera è impossibil­e lavorare, che rischi la vita — ha detto durante il trasferime­nto in terapia intensiva —. Prima o poi doveva succedere. Ma nessuno mi ha mai ascoltato».

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