AFFINITÀ AMBIENTALI IL CINE CAPITOL E IL VIAGGIO SENTIMENTALE CHE SA ANDARE OLTRE IL BRUNELLESCHI
Lo stupore da bambino per la sala di Baroni e Tempestini che prometteva di mostrare il cielo di Dante Qui si è vissuta l’idea di un secolo industrioso che ha saputo felicemente investire in cultura
La proposta Da oggi al 31 dicembre Toscana ‘900, itinerario che lega luoghi espositivi, parchi culturali e mostre di tutta la regione. In un territorio antico per vocazione dove la modernità, pur tra le polemiche, riesce a sorprendere
Il Cinema Capitol, proprio alle spalle degli Uffizi, ha sempre avuto per me un fascino molto speciale, fin da quando ero piccolo. Quattro piani di cemento e vetro, un grande pannello di ceramica coloratissima, scala a due rampe e un ascensore di vetri, poltrone di velluto verde e un soffitto della grande sala da «trecento e passa» posti che si favoleggiava (ma io non l’ho mai sperimentato) potesse addirittura aprirsi «per farci vedere le stelle» — proprio così diceva mio padre tanto per ricordarmi che questo era pur sempre il posto di Dante.
La mia frequentazione con le architetture moderne e con una certa idea (infantile) del Novecento è cominciata così, attraversando via de’ Castellani per infilarmi (a Natale o quando usciva l’ultimo film di Alberto Sordi) negli spazi disegnati da Nello Baroni e Maurizio Tempestini, inaugurati nel 1957. Spazi che mi sembravano modernissimi, ma che solo più tardi ho scoperto non essere, almeno secondo i critici, nemmeno poi così meravigliosi, anzi.
La passione per il Novecento ha ritmi strani alle spalle della Cupola di santa Maria del Fiore (le oltre trecento opere del recente Museo del ‘900 davanti alla facciata di Santa Maria Novella possono dare un piccolo aiuto per capire), ma anche sulle colline toscane più in generale. Troppo forte il peso della classicità più codificata, quella di Brunelleschi e di Botticelli. Troppo difficile (o faticoso) misurarsi con un simile passato.
Ancora una volta il Cinema Capitol, abbandonata da anni la vocazione cinefila, può tornare ad essere un’efficace pietra di paragone: di fronte al Capitol si è infatti giocata, e ancora si continua a giocare, l’intricata partita della nuova pensilina degli Uffizi progettata da Arata Isozaki. Progetto bello e modernissimo che avrebbe dovuto prendere forma nell’ormai lontano 2003. E che invece resta sempre lì, sospeso, con i suoi sessanta milioni di euro di spesa prevista — è quella globale per la realizzazione dei Grandi Uffizi, di cui la Pensilina dovrebbe fare parte.
Eppure il Novecento fiorentino-toscano è pur sempre capace di bellissime sorprese: certi ritratti di Primo Conti; i romanzi di Carlo Cassola e di Luciano Bianciardi; la stazione di Santa Maria Novella di Giovanni Michelucci e del Gruppo Toscano; la chiesa dell’autostrada ancora di Michelucci (che firma anche il Palazzo del Governo di Arezzo); la casa-studio di Leonardo Ricci sulla via Bolognese; i servizi di ceramica della Ginori; i tessuti stampati di Pucci; la Lancia Aurelia che nel Sorpasso di Dino Risi corre sull’Aurelia verso Calafuria; il Palazzo delle Poste di Grosseto (1932, capolavoro di Angiolo Mazzoni); il Drappellone dipinto da Mino Maccari per il palio di Siena del 1990. Fino alle scene e i costumi (di filo di ferro, di ottone e di stoffa) firmati da Fausto Melotti per Le chant du rossignol di Igor Stravinsky al «Maggio» del 1982. E anche quel suo teatro non bellissimo aveva il pregio di trasmettere una qualche idea di progresso. Come il Capitol.
Ancora una volta per allargare l’orizzonte, più che all’ordine cronologico o critico, conviene però farsi guidare dai sentimenti: dall’idea, ad esempio, di un Novecento industrioso e «trionfante» come quello dell’Età dell’oro di Prato e delle sue fabbriche (più tardi le avrebbe ben raccontate Edoardo Nesi).
Le stesse industrie che qualche tempo dopo avrebbero saputo investire felicemente persino in cultura: nel teatro (il Metastasio, il Fabbricone dove Luca Ronconi avrebbe realizzato spettacoli impensabili come Ignorabimus di Arno Holz), come nei primi musei del contemporaneo. A cominciare dal Centro «Pecci», inaugurato nel 1988, che con la sua colonna in acciaio di Anne e Patrick Poirier che si affacciava dal parco sulla strada ricordava che il Novecento doveva per forza saper sempre guardare oltre.
Il Novecento toscano sembra essere così più una sensazione che una vera e propria realtà, qualcosa che si lega più alla memoria e ai sentimenti personali che non alla concretezza. Non cercate, dunque, grattacieli e spazi ipermoderni, anche se poi ci si può trovare faccia a faccia con le cantine di Renzo Piano, di Mario Botta e del Gruppo Archea. Piuttosto ripensate al passato, al bel tempo andato di quando eravate bambini o ragazzi.
Insomma, tornate al cinema Capitol dei vostri ricordi. E anche se, poi, i critici vi diranno che non era poi così bello né così moderno poco vi importerà.