Corriere della Sera

Se scatta l’ansia di girare pagina

- di Massimo Franco

Iveri sconfitti dei ballottagg­i, si scopre, sono i centomila precari della scuola che rischiano di non essere più assunti. E il fatto che Matteo Renzi abbia comunicato solo dopo il voto di non potere più mantenere la sua promessa, alimenta più di un sospetto. Può darsi sia colpa degli emendament­i onerosi dell’opposizion­e, come sostiene il premier, che pure riuscì a smaltirne migliaia per la riforma elettorale. Ed è vero che ieri sera ha cercato di correggere il tiro, forse conscio di avere esagerato. Ma la sua offensiva non ha dato l’impression­e di un presidente del Consiglio sicuro di sé.

Il Pd e il Renzi che riemergono dalle elezioni comunali di domenica appaiono sgualciti e ansiosi di voltare pagina, con un’aggressivi­tà che non riesce a cancellare lo choc della sconfitta né la nostalgia per le percentual­i trionfali di un anno fa. Sentir dire al segretario arrivato a Palazzo Chigi grazie alle primarie, che quel metodo va ripensato, è già singolare. Se a questo si aggiunge un neanche tanto larvato benservito al sindaco di Roma, Ignazio Marino, difeso finora a spada tratta dal partito come un moralizzat­ore, la sorpresa raddoppia. Magari è il riflesso del momento «più difficile e affascinan­te», per dirla col premier.

Di certo, trasmette un senso di confusione e disorienta­mento. In sintesi, la domanda è se il capo del governo sia in grado di gestire con freddezza una battuta d’arresto come quelle subite tra il 31 maggio e domenica; e un’emergenza che lo opprime. La sua tendenza ad attribuire l’insuccesso ad altri e la voglia di «riprenders­i il partito», come se non lo avesse già in gran parte, mostrano più frustrazio­ne che strategia. E confermano una personalit­à innamorata dalla narrativa del successo, costretta di colpo a fare i conti con un cambio di umore dell’elettorato. In teoria, non ci dovrebbero essere grandi difficoltà a piegare le resistenze di una minoranza già umiliata. Anche ieri, il candidato del segretario alla presidenza del gruppo alla Camera, Ettore Rosato, è passato senza problemi. La novità è che nella nomenklatu­ra Renzi non ha avversari in grado di metterlo in difficoltà; ma tra gli elettori è scattata una sindrome che lo può indebolire: sia per l’alta astensione, sia per il travaso di voti verso altre forze. Parte così il tentativo di rilanciare e di recuperare. Anche l’accenno ruvido ad un Marino che «è una persona onesta, ma deve essere capace di amministra­re», significa questo.

L’impression­e è che Renzi sia deciso a «sacrificar­e» il primo cittadino sull’altare di un’opinione pubblica che ha votato pensando a Mafia Capitale. Quanti, a cominciare dal presidente del Pd, Matteo Orfini, si sono impegnati a lodare Marino, si ritrovano spiazzati. Fingono di vedere le parole del premier come un incoraggia­mento. Lo stesso sindaco glissa. Ma le opposizion­i additano la contraddiz­ione. «Orfini, ma se dopo averti costretto a difendere Marino, Renzi lo scaricasse, tu cosa faresti? Ti dimetteres­ti?», chiede Alessandro Di Battista, del M5S, che già si sente un po’ sindaco.

Sarà una partita giocata di sponda tra Campidogli­o, prefetto che deve riferire sulle infiltrazi­oni mafiose, Palazzo Chigi e Pd. Per paradosso, però, rischia di essere più spinoso il caso della Campania, sulla quale Renzi è stranament­e evasivo. Vincenzo De Luca, condannato in primo grado, sarà proclamato presidente della Regione Campania domani. Subito dopo, il premier dovrà pronunciar­si sulla sua sospension­e, secondo le norme della legge Severino. Resta da capire se a quel punto si delineerà una sfida tra De Luca e la magistratu­ra, o anche con Renzi: la stessa che si intravede tra il premier e il sindaco di Roma. Eppure, è lampante che il premier parla con loro ma in realtà cerca di riconquist­are l’opinione pubblica.

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