Ora il governo azzera il consiglio di Cassa depositi
Azzerato dal governo il consiglio della Cassa depositi e prestiti. Si tratta ora di capire in quale direzione intende muoversi l’esecutivo per rafforzare ruolo e mezzi della Cassa.
Nella decisione inusuale di intervenire per far decadere il consiglio e cambiare i vertici della Cdp, la Cassa depositi e prestiti, è rintracciabile tutto il peso della partita che il governo sta giocando per una svolta nella più grande istituzione finanziaria italiana.
Il premier Matteo Renzi lo ha detto in modo chiaro ieri in tv. Ha sì sottolineato che chi attualmente guida la Cassa, cioè il presidente Franco Bassanini e l’amministratore delegato Giovanni Gorno Tempini, «ha fatto un buon lavoro», ma ha subito aggiunto: occorre «intervenire perché Cdp sia ancora più forte». Il punto è proprio questo, e si tratterà di capire in quale direzione intende muoversi l’esecutivo per rafforzare ruolo e mezzi della Cassa, istituto di cui lo Stato possiede oltre l’80%, mentre le Fondazioni sono complessivamente azioniste con il 18,4%.
Quale sarà la fase 2? Cdp sarà il braccio economico del governo? Di certo l’intervento che ha forzato il ricambio dice che «idee forti» sul destino della Cassa già ci sono, nonostante Renzi ieri abbia risposto «no» sulla esistenza o meno di decisioni governative sull’istituzione.
Ha detto nei giorni scorsi al Corriere della Sera Giuseppe Guzzetti, presidente dell’Acri, cioè dell’associazione che riunisce le Fondazioni nate dalla privatizzazione delle ex Casse di risparmio: «Una cosa è certa: la Cdp non dovrà in alcun modo diventare una nuova Iri». Ma se nessuno intende ufficialmente riconoscere o assecondare un ritorno dello Stato padrone, è tuttavia difficile non prevedere un rafforzamento della mano pubblica in questa accelerazione. In particolare la Cdp, che è già primo socio dell’Eni con circa il 26% e attraverso Cdp Reti (con i cinesi di State grid al 35%) detiene il 30% di Snam e Terna, potrebbe essere destinata a essere grande investitore nella banda larga, e appare verosimile l’ipotesi che ciò possa comportare anche un ingresso nell’azionariato della Telecom. Il governo sembra determinato nel raggiungere gli obiettivi dell’Agenda europea 2020 su accesso a Internet e velocità di navigazione, presupposto inoltre per un vero collegamento in rete dell’intero network amministrativo dello Stato. Ma fra Cdp e Telecom, dopo anni di dibattito a distanza e alcuni mesi di trattative, si è consumata una rottura che è apparsa seria. Se non proprio definitiva, considerate le parole pronunciare ieri del presidente del gruppo di telecomunicazioni Giuseppe Recchi: « Non stiamo litigando per niente. Noi abbiamo un piano totalmente allineato con gli obiettivi del governo, cioè portare la banda a velocità alta in tutte le case degli italiani».
In Telecom tuttavia è pure in atto un totale ricambio dell’azionariato con lo scioglimento di Telco e sta per diventare primo socio singolo con circa l’8% la francese Vivendi, il cui primo azionista è Vincent Bolloré. E la quota francese, magari anche con un impegno diretto dell’imprenditore bretone, sembra destinata a crescere. Insomma: la situazione proprietaria del gruppo guidato da Marco Patuano è molto fluida.
Quali sono dunque i piani dell’esecutivo? Ancor più dopo questa passo deciso sulla svolta il governo dovrebbe rispondere alle domande che l’economista Francesco Giavazzi ha rivolto dalle colonne di questo giornale. E in primo luogo a quella definita «più generale»: che cosa pensa il presidente del Consiglio del rapporto fra Stato e mercato? Un tema di fondo, anche pensando alla crescente presenza sul nostro mercato di investitori internazionali (che in Telecom detengono il 56% del capitale in assemblea). La priorità, come ha detto Guzzetti, è «far crescere il Paese». Come l’accelerazione su Cdp sia riconducibile a questo comune obiettivo è compito del governo spiegarlo al più presto.