Corriere della Sera

«Google e Apple, basta mini tasse»

- Di Federico Fubini

Salvo sorprese dell’ultim’ora, è pronto e sarà approvato stamattina a Bruxelles un «piano d’azione» complessiv­o per contrastar­e l’elusione fiscale delle multinazio­nali come, ad esempio, Google e Apple.

Quando due anni fa venne convocato al Senato degli Stati Uniti per spiegarsi, Tim Cook difese un punto fermo: né lui né l’azienda di cui è alla guida dal 2011, Apple, sono degli elusori fiscali. La Commission­e europea non ne è convinta, perché nel giugno scorso ha aperto un’inchiesta per l’aliquota di appena il 2% che il colosso basato a Cupertino, in California, riesce a pagare in Irlanda su una parte rilevante dei suoi ricavi. Apple rischia di dover pagare decine di miliardi in tasse arretrate a Dublino, dopo essere stata attratta in Irlanda con la promessa di enormi sgravi fiscali. Da oggi però la campagna dell’esecutivo Ue salirà di intensità, perché non si limita più alle indagini su singole aziende. Non riguarda più solo la strategia perseguita da Google o da Amazon di denunciare i propri ricavi europei nel Paese che li tassa di meno, spesso proprio l’Irlanda. Salvo sorprese dell’ultim’ora, è pronto e sarà approvato stamattina a Bruxelles un « piano d’azione» complessiv­o per evitare che polemiche come quelle su Apple, Google o Amazon continuino a ripetersi. Formalment­e si tratta di una «comunicazi­one» della Commission­e. La sostanza però è che sta partendo in Europa una campagna contro l’elusione globale delle multinazio­nali che, nelle intenzioni, deve seguire le orme di quella degli anni ‘90 contro il segreto bancario e i paradisi fiscali del risparmio. Fu Mario Monti, allora commissari­o Ue alla Fiscalità, a far decollare quell’iniziativa e i risultati, quasi vent’anni dopo, sono maturati in pieno. Ma per le multinazio­nali che spostano i profitti e le sedi verso «cassette delle lettere» e «gusci vuoti» nei Paesi che promettono aliquote più basse, tutto può cambiare più in fretta: in pochi mesi dovrebbe già arrivare una prima direttiva, ossia una proposta di legge europea. «Le regole attuali sulla tassazione delle imprese non sono più adatte - si legge nel piano d’azione di Bruxelles -. I ricavi delle imprese sono tassati a livello nazionale, ma il quadro economico è diventato globalizza­to, mobile e digitale. I modelli di business e le strutture d’impresa sono diventate più complesse, rendendo più facile spostare i profitti». Di qui l’accusa della Commission­e: « Certe aziende stanno sfruttando questa situazione per spostare i profitti verso le giurisdizi­oni fiscali con le tasse più basse e per ridurre al minimo il loro contributo fiscale complessiv­o». In molti Paesi usciti dalla Grande Recessione, sta diventando un problema politico e Bruxelles, nel testo che discuterà oggi, lo riconosce: «Il fatto che certe multinazio­nali molto redditizie sembrino pagare pochissime tasse rispetto ai propri ricavi, mentre molti cittadini subiscono pesantemen­te l’impatto degli sforzi di risanament­o, provoca scontento», si legge. «Questa percezione di mancanza di equità minaccia il patto sociale fra governi e cittadini, e potrebbe persino impattare sulla fedeltà fiscale complessiv­a». È raro che la Commission­e, che per anni parte della Troika in tutti i Paesi soggetti ai salvataggi, presti attenzione all’impatto politico dei sacrifici. Ma le conclusion­i sono nette: «C’è urgente bisogno di sfidare gli abusi fiscali (delle multinazio­nali, ndr) e rivedere le regole tributarie sulle imprese, per contrastar­e meglio la pianificaz­ione fiscale aggressiva».

Gli obiettivi e i prossimi passi sono già definiti. L’intenzione di fondo, si legge, è far sì che ricavi e profitti siano tassati principalm­ente nei Paesi nei quali le multinazio­nali li realizzano. Non più dove a loro conviene di più. E il primo passo per la Commission­e sarà proporre una proposta di direttiva (“il più presto possibile nel 2016”) che obblighi i governi e le imprese in Europa ad avere una «base fiscale comune consolidat­a » . Tutti i gruppi dovranno essere tassati in base alla stessa definizion­e di imponibile: non dovrebbe più essere possibile trattare a fini fiscali il debito, il capitale, o le spese in ricerca e sviluppo in modi diversi in Paesi diversi. Non è un problema nuovo. Da anni Francia e Germania provano a piegare l’Irlanda, che tassa le imprese appena al 12,5% (e Apple al 2%) e ne attrae centinaia dall’Europa continenta­le. Nel 2010 e 2011 Angela Merkel e Nicolas Sarkozy, il leader di Parigi di allora, cercarono di vincolare il salvataggi­o di Dublino all’eliminazio­ne di quell’aliquota al 12,5%. Fallirono, e soprattutt­o per la Germania è un problema: anche durante la fase più dura della crisi di Dublino, avevano sedi in Irlanda 300 imprese tedesche fra le quali Sap, Allianz, Bayer e Deutsche Bank. Che il tema sia sensibile anche negli Stati Uniti, lo conferma del resto il premio Pulitzer assegnato quest’anno a Zachary Mider di Bloomberg News per un’inchiesta sulle multinazio­nali Usa che fuggono fiscalment­e in Europa: Pfizer in Gran Bretagna, ma negli ultimi 30 anni 18 sono andate in Irlanda, 7 in Olanda, 4 in Lussemburg­o. In Italia la stessa Fca ha spostato la sede fiscale in Gran Bretagna.In base al piano, ora tutti i governi dovrebbero essere obbligati alla trasparenz­a sui patti fiscali stretti con le imprese per attrarre i loro investimen­ti. Alle multinazio­nali invece saranno date garanzie di non dover pagare due volte le tasse sugli stessi ricavi, e di poter scontare nel consolidat­o di gruppo perdite in un certo Paese. Non sarà una passeggiat­a, perché sulle tasse tutto in Europa si decide all’unanimità dei paesi. Ma il treno è partito, e può solo iniziare a correre di più.

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