«False presenze in sala operatoria» Le accuse per il San Raffaele
Nove indagati tra dirigenti e primari. La replica dell’ospedale: tutto a regola d’arte
Sono tutti d’accordo solo sul fatto che non si discuta di operazioni inventate o di errori e danni ai pazienti negli interventi chirurgici. Ma per il resto, se ha ragione la Procura di Milano nell’inchiesta partita da una lettera anonima di un «comitato degli specializzandi», all’ospedale San Raffaele del dopo-don Verzè è bastato attestare nelle sale operatorie 4.000 qualifiche o presenze d’equipe diverse da quelle reali per truffare lo Stato e incassare indebitamente dal Servizio sanitario nazionale 29 milioni di rimborsi nel 2011-2013. Mentre se ha ragione il San Raffaele, tutto è stato fatto « a regola d’arte e secondo i più aggiornati protocolli internazionali», e «insussistenti» sarebbero le «accuse sulla disciplina amministrativa di accreditamento».
L’avviso di conclusione delle indagini contesta ieri a 3 dirigenti (tra i quali l’attuale amministratore delegato Nicola Bedin) e a 6 primari (tra i quali il medico di Berlusconi, Alberto Zangrillo) di avere — tra la fase finale della gestione di don Verzè, travolta da debiti e inchieste, e l’avvio della subentrata gestione del gruppo Rotelli — «organizzato le équipe chirurgiche per gli interventi nelle sale operatorie di Cardiochirurgia, Chirurgia toracica, vascolare e Urologia in violazione dei requisiti di accreditamento relativi al numero minimo e alle qualifiche degli operatori chirurgici e anestesisti che debbono essere presenti per ogni tipo d’intervento».
L’accreditamento è il riconoscimento, concesso ad un ospedale privato, dello status di potenziale erogatore di prestazioni nell’ambito e per conto del Servizio sanitario nazionale. Tra i requisiti per ottenerlo, in base alla legge 1998 e ad alcuni specifici atti regionali, c’è che «la sala operatoria sia attivata solo in presenza di almeno un medico anestesista, due chirurghi e due infermieri professionali», e che «nell’arco dell’attività di day surgery sia garantita la presenza di almeno un chirurgo, di un anestesista e un infermiere professionale».
I registri operatori del San Raffaele avrebbero fatto apparire rispettati questi requisiti quando invece, accanto a 10.253 interventi amministrativamente in regola, ci sarebbero stati — a detta del Nucleo di Polizia tributaria della GdF di Milano e del pm Giovanni Polizzi nel dipartimento coordinato dal procuratore aggiunto Giulia Perrotti — 2.161 casi di presenze a scacchiera nei vari interventi, dunque con «chirurghi e/o anestesisti presenti Milioni di euro È l’ammontare della truffa contestata dai pm di Milano al San Raffaele. È il valore delle presunte prestazioni irregolari rimborsate contestualmente in più sale operatorie»; e 1.948 casi di presenza in sala operatoria di personale con qualifiche diverse dal dovuto, come quando l’anestesista o il secondo operatore erano specializzandi (il che non vale ai fini del requisito dell’accreditamento). Nell’indagare le persone giuridiche di San Raffaele e Fondazione Monte Tabor, l’ex amministratore Mario Valsecchi (arrestato all’epoca dell’inchiesta sull’insolvenza), il direttore sanitario Roberto Mazzuconi, a Bedin, e i primari Zangrillo ( anestesia), Ottavio Alfieri (cardiochirurgia), Piero Zannini (chirurgia toracica), Roberto Chiesa (chirurgia vascolare), Patrizio Rigatti e Francesco Montorsi ( urologia), la Procura ritiene che, se non erano rispettati tutti i requisiti per l’accreditamento «autocertificati ogni quattro mesi», allora indebiti erano i rimborsi ottenuti, perché le «false attestazioni» (prima ipotesi di reato) avrebbero fondato la «truffa allo Stato» (seconda ipotesi di reato), «inducendo in errore il Servizio sanitario e procurando al San Raffaele l’ingiusto profitto di 28 milioni e 700.000 euro».