Scarpe a km zero, la sfida tutta italiana
Diadora restaura una linea di produzione chiusa da vent’anni nel distretto di Montebelluna «È la strada giusta, speriamo che altri ci seguano». Obiettivo: 300 mila paia entro il 2018
«Si comincia così. Con una linea. Poi si espande il progetto. E la speranza è che ci seguano altre aziende italiane: noi oggi dimostriamo che la produzione, almeno di una parte dei propri prodotti, si può riportare in Italia. La scarpa sportiva è nata nel distretto di Montebelluna: noi abbiamo restaurato una linea chiusa da vent’anni, abbiamo riportato in funzione le macchine, riavviato la produzione qui, in Italia, a chilometro zero. Abbiamo un programma al momento unico in Italia nel calzaturiero: la quantificazione e tracciabilità della carbon footprint. L’obiettivo è quello di avere, almeno nella gamma più alta, un prodotto italiano, con impatto ambientale ridotto veramente al minimo in un controllo rigoroso della filiera produttiva».
Enrico Moretti Polegato, 33 anni, presidente e amministratore delegato, ha varato un progetto molto importante per il rilancio della sua Diadora, azienda storica rilevata da Geox nel 2009: Diadora nei decenni passati ha calzato i piedi di Senna, Baggio, Borg, Van Basten, Lucchinelli, una lista lunghissima di campioni le cui scarpe sono ospitate nel museo aziendale a Caerano San Marco (Treviso) come cimeli.
Ed ecco, qui a Pitti, la «Trident 90», uno dei modelli più venduti nella storia della casa, che ora viene nuovamente fatta in Italia, in pelle, trasformata in «ibrido» con tomaia Anni 80 e suola da corsa Anni 90. Ecco la Equipe Ita in pelle e nylon e la B. Elite Ita da tennis rieditata in pelle pienofiore e suola stampata: tutte made in Caerano, e con quelle da calcio (la casa è fornitrice ufficiale anche dell’Associazione arbitri) fanno per ora 100 mila paia di scarpe italiane all’anno «per dare un segnale, di business e francamente anche di orgoglio», raccontava ieri Moretti Polegato, sorridente per l’allegro assedio dei fan di Marco Mengoni, che, fotografatissimo, ha visitato lo stand Diadora.
«Diadora — ha continuato il presidente e ad — è nata nel 1948, è un patrimonio italiano e il progetto è quello di triplicare la produzione made in Caerano entro tre anni, 300 mila paia di scarpe». In quattro anni il fatturato è aumentato, la crescita è incoraggiante e la formula che abbina rientro (parziale) della produzione in Italia e massima responsabilità ambientale. «Sul cuoio il made in Italy è fortissimo, nello sport no. Si parla tanto di heritage, il Dna di un marchio storico è anche fatto di produzione italiana. Questa è la strada giusta».