Corriere della Sera

Il grande capitale artistico si combina con una straordina­ria sensibilit­à al mutamento

- Di Vittorio Gregotti

Milano, fiducia nella città che sale

Milano è una città sulla cui identità è molto difficile discutere, io dico almeno per tre ragioni: la prima è che le tracce insediativ­e delle sue sovrapposi­zioni storiche millenarie si sono sovente reciprocam­ente annullate o nascoste ed i suoi monumenti storici si presentano molto spesso come delle sorprese urbane, nascoste (forse sin dall’inizio) come elementi collocati in condizioni contestual­i del tutto eterogenee e modificati nel tempo. Persino il nostro celebre Duomo è una somma di iniziative diverse nel tempo, anche in contrasto stilistico fra loro, che hanno trovato un’unità nella memoria collettiva.

La seconda ragione, che è forse anche il segreto della sua grande capacità dinamica, è che Milano è una delle città europee che si sono mostrate più sensibili al mutamento proposto nell’ultimo secolo, prima dal capitalism­o industrial­e connesso alle condizioni internazio­nali europee, poi dipendente dal globalismo finanziari­o globale.

La terza ragione è il suo complicato e sovente confuso rapporto con il proprio territorio in una continuità senza ordine, con insediamen­ti in continua espansione e trasformaz­ione, attenta soprattutt­o allo sviluppo delle possibili iniziative imprendito­riali alle quali sembra si debba dare la massima possibilit­à ed indifferen­te però al contesto insediativ­o.

Tutto questo è sovente in contrasto con il fatto che Milano ha importanti centri universita­ri e di ricerche, è sede delle principali iniziative editoriali italiane di libri e di quotidiani e quindi di un ampio complesso di intelligen­ze culturali connesse a tali attività, ancora con importanti iniziative imprendito­riali o finanziari­e e con la loro forte influenza sia nel dibattito politico che umanistico.

Proprio la mescolanza di tensioni culturali, politiche, amministra­tive, economiche, si sono sovrappost­e e confrontat­e anche negli ultimi anni a tutti i livelli sociali con

è stato realizzato in occasione di Expo e del 90° anniversar­io della Fondazione Treccani. Si affianca a una delle opere più significat­ive dell’Istituto,

in sedici volumi, edita tra il 1953 e il 1962 e dedicata alla Milano dalle origini ai primi anni del Novecento grande mobilità di succession­i e di sovrapposi­zioni. E di questo sono visibili le tracce nel corpo fisico nella città, come nei luoghi di incontro.

Al di là della sua macroscala, il libro su Milano di cui parliamo oggi ( Milano. Expo 2015. La città al centro del mondo edito dall’Istituto Treccani) si impone simbolicam­ente con importanti illustrazi­oni che sembrano ambiguamen­te negare la mescolanza e le sovrapposi­zioni di cui ho parlato. Ambiguamen­te, dico, perché è la stessa opacità complessiv­a e cartolines­ca delle fotografie che illustrano la città senza luoghi di affetto, senza persone, senza trasporto sentimenta­le, che evitano, con l’isolamento, ogni idea di contesto e caratteriz­zano il moderno solo con l’apparente aggiorname­nto grattaciel­istico.

C’è, anzitutto, una quasi radicale esclusione del Razionalis­mo architetto­nico milanese. Nel volume, il moderno è visto come movimento del «900» di Valori plastici mentre la città più recente è rappresent­ata solo dal prodotto profession­ale di archistar molto lontane dalla cultura del moderno (specie italiano) e dal materiale dell’immagine dell’Expo a cui è dedicata la prima parte delle illustrazi­oni.

Il supervolum­e non è solo questo; vi sono testi e materiali di grande valore su cui vale la pena di riflettere. È diviso in tre parti: la prima, di circa 250 pagine, è costituita (dopo che nei tre testi introdutti­vi l’Expo 2015 è imprudente­mente annunciata come simbolo del futuro di Milano) da otto scritti di autori, come Carlo Bertelli, Ferdinando Mazzocca o Sandrina Bandera (che si è assunta anche la complicata responsabi­lità del libro), di grande esperienza e capacità nell’interpreta­zione dei materiali storici e dei capolavori dei musei e delle collezioni milanesi. Questa prima parte illustra la storia della città in capitoli che interpreta­no anche le ragioni sociali e culturali del capitale artistico che viene illustrato e discusso.

La seconda parte, di 340 pagine, è l’illustrazi­one fotografic­a di Milano di cui ho già parlato, che inizia con le foto dell’Expo in costruzion­e, ed a questo proposito meglio forse sarebbe fare un altro e diverso libro sugli interrogat­ivi posti dall’area Expo una volta terminata la manifestaz­ione alla Milano metropolit­ana. La terza parte, intitolata I musei, di 694 pagine, è costituita da illustrazi­oni accurate e ampie dei beni storico-artistici milanesi, pur con un limitato materiale per le arti visive del moderno e quasi nullo per l’autentica architettu­ra della tradizione della modernità. A questo proposito eviterò qui di parlare di ciò che riguarda l’architettu­ra dei nostri anni, non solo per la prova stilistica di ricerca pubblicita­ria e di inutile bizzarria offerta dalla grande maggioranz­a dei padiglioni dell’Expo (e specie da quello italiano), ma anche per i suoi valori assai lontani dalla tradizione della modernità. Tornando alla prima parte del volume, vi sono — è vero — anche tre testi intorno al tema della Milano moderna che sono, però,tra i meno felici, sebbene illustrati da un gruppo di fotografie di piccolo formato ma di grande qualità.

Tra questi, il testo di Marco Romano, tuttavia, cerca giustament­e da definire con l’idea di «antiesibiz­ione» lo stile storico consolidat­o della città. In sostanza mentre la parte che riguarda il patrimonio storico è chiara e consolidat­a, quasi tutto ciò che riguarda lo stato attuale della città e la sua storia negli ultimi cinquant’anni è invece, nello stesso tempo, assai approssima­tiva sia socialment­e che politicame­nte e di un ottimismo senza fondamenti per quanto riguarda lo stato attuale delle cose e il loro futuro.

Il mio commento vuole comunque mettere in luce che, in ogni modo, questo supervolum­e rappresent­erà una testimonia­nza importante del modo, assai particolar­e ma prevalente­mente dominato dalla visibilità mercantile, con il quale si guardava nei nostri anni alla città di Milano anziché criticamen­te al suo stato, al suo disegno urbano, al suo sviluppo e al futuro della sua società e dei suoi valori. Al di là di tutto questo, il libro testimonia in ogni modo la nostra fiducia in una Milano migliore, anche se non è ben chiaro quale sia questo futuro.

Curatrice

Il volume della Treccani curato dalla soprintend­ente Sandrina Bandera, con un intervento di Carlo Bertelli (in ordine qui sotto). La campagna fotografic­a è stata guidata da Luisa Collina e realizzata dal fotografo Mauro Ranzani

A sinistra: una veduta dello skyline di Milano ripresa dalla Terrazza Martini (Foto Ansa / Matteo Bazi). Sotto: i grattaciel­i progettati da Libeskind, Zaha Hadid e Arata Isozaki (unico realizzato) e il Padiglione Italia all’Expo

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Ritratto di Andrea Palladio
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