Elzeviro / Il volume di Maurizio Vitale
STILE E FORMA: IL PARINI «SVELATO»
«IInvestigatore geniale». Maurizio Vitale sembra il personaggio creato da sir Arthur Conan Doyle nel XIX secolo. Con una differenza: Sherlock Holmes si tuffa nel mondo criminale, dove, attraverso i comportamenti dei personaggi, analizza i vari casi e li risolve. Diverso il campo di Vitale — la letteratura —, uguale l’impegno. Anche qui sono necessarie indagini analitiche e una buona dose di genio per scandagliare «forme dello stile, lessico e grammatica (fonetica, morfologia, sintassi)». Stavolta il «caso» riguarda la poesia e la prosa di Giuseppe Parini (1729-1799), definito da Giacomo Leopardi il «Virgilio della moderna Italia». Si va dalle Poesie di Ripano Eupilino alle Odi, da Il Giorno (revisioni successive comprese) alle Poesie varie. Cui, naturalmente, si aggiungono centinaia di pagine di critica, di retorica e di polemiche, confrontate con circa tre secoli di tradizione letteraria (Cinquecento-Settecento). Risultato? Il rendersi conto dell’«umanesimo culturale» e del «razionalismo realistico» del Parini, che, adottando «figure retoriche», un «lessico insieme elevatissimo e comune» e «forme grammaticali e sintattiche di classica e moderna fattura», aderisce, in maniera coerente, «al classicismo latino e volgare».
Il tutto, sparpagliato in 488 pagine ( La «Dizione formale» dell’«Italo Cigno» , Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, € 30) che, per dirla con Dante, fa tremare le vene e i polsi. Due anni di lavoro per svelare i segreti linguistici dell’abate settecentesco, che ebbe i natali a Bosisio. Scriveva Camillo Ugoni nel 1856: «Poveri tuguri e ignorati villaggi videro non di rado nascere illustri ingegni, che risplendettero poi nelle città più cospicue. Tale fu la gloria di Bosisio, terra del Milanese, presso il lago di Pusiano, ove, l’anno 1729, ai 22 maggio, venne alla luce il celebre Parini di casa popolare e dove pure più tardi comparve il grande Appiani di stirpe gentile » (corsivi di Ugoni).
Vitale ( nella foto) non è certo nuovo a fatiche del genere. Se si calcola che egli compie 93 anni il prossimo agosto, ci si rende conto di come abbia coraggio da vendere (oltre a impegno e generosità). Non bisogna neppure andare tanto lontano. Basta ricordare le indagini (2002) — a quattro mani, con Vittore Branca — su mutamenti linguistici e variazioni narrative e stilistiche delle due redazioni del Decamerone; o le sue divagazioni linguistiche (2006) su sette secoli (Trecento-Novecento) o, ancora, l’analisi sul Tasso epico (2007), riferita soprattutto alla Gerusalemme liberata.
Allievo di Antonio Viscardi, per otto lustri Vitale ha insegnato Storia della lingua italiana alla Statale di Milano. Accademico della Crusca (di cui ha aggiornato il vocabolario) e dei Lincei, s’è quasi sempre occupato di autori lontani nei secoli. Dalla Scuola siciliana (Jacopo da Lentini, inventore del sonetto) a quel ribelle che fu Cecco Angiolieri, amatissimo soprattutto da noi studenti impertinenti e canzonatori. E, poi, via via, Dante, Petrarca, Boccaccio, Ariosto, Tasso; sino ai più vicini Leopardi, Stendhal e Manzoni. Una sola eccezione: Riccardo Bacchelli ( Il diavolo al Pontelungo e Bibliografia degli scritti). L’autore de Il mulino del Po è un capitolo a parte. Vitale ne era molto amico, così come della moglie Ada, e frequentava la loro casa milanese al numero 20 di via Borgonuovo. Sorridendo, Ada lo chiamava «l’uomo dalla doppia vita» perché a pranzo o a cena veniva sempre da solo e lei immaginava che avesse una «vita nascosta», segreta. «Ma quale vita nascosta», bofonchiava Maurizio, che in cuor suo se la rideva. Come l’amato Cecco Angiolieri.