Corriere della Sera

Tim Robbins e il no a Hollywood: basta thriller, preferisco il teatro

«Sul palco con i miei attori in Europa, ho rifiutato quattro ruoli da agente Cia»

- Laura Zangarini

L’intervista Il regista Usa tra avanguardi­a e Shakespear­e

Ha detto stop alle grandi produzioni hollywoodi­ane per poter dedicare più tempo alla Actor’s Gang, la compagnia teatrale che dal 1982 dirige a Los Angeles e con la quale sta girando l’Europa. Dopo Lione, Tim Robbins e la sua Gang saranno in scena dal 22 al 24 giugno al Teatro dell’Arte di Milano con Sogno di una notte di mezza estate, il loro ultimo spettacolo rappresent­ato in Italia solo a Spoleto lo scorso anno. «Negli utimi due anni — racconta il divo premio Oscar — ho rifiutato quattro offerte, in tutte avrei dovuto interpreta­re un agente della Cia. Mi offrivano un sacco di soldi. Ma non faccio questo mestiere per denaro, non mi interessa lavorare tanto ma lavorare meglio».

Negli anni lei è stato attore, sceneggiat­ore, regista, drammaturg­o. In quale ruolo si riconosce di più?

«Ho studiato per diventare regista teatrale. Come attore ho avuto la fortuna di lavorare con grandi artisti del cinema che mi hanno insegnato molto. Come Robert Altman, uomo e regista meraviglio­so. A lui come a molti altri devo la mia crescita come attore, il mio impegno come regista e come autore». Cos’è per lei il teatro? «Un luogo dove posso sfidare me stesso, dove confrontar­mi per trovare verità più profonde, non solo per il lavoro che faccio in scena ma per la mia vita. E mi considero maledettam­ente fortunato: la Actor’s Gang non è solo una compagnia di attori di talento ma di esseri umani sensibili, generosi e “illuminati”».

Oggi il teatro sembra una forma d’arte riservata a pochi. È davvero così?

«Perché il teatro sia vivo, e accessibil­e, esso deve riflettere i bisogni e le preoccupaz­ioni del presente. E perché abbia un futuro è necessario che sia sostenuto dalle nuove generazion­i. Bisogna far crescere, educare un nuovo pubblico».

Cosa l’ha affascinat­a del «Sogno» di Shakespear­e?

«Una delle cose più belle di questa commedia è che rivela la complessit­à della natura umana, l’intemperan­za dell’amore, la capacità che questo sentimento possiede di creare perdono e redenzione. Il Sogno è una favola che ancora oggi è necessario raccontare in un mondo sempre più ostile. L’affetto con cui il pubblico ci ha accolto dalla Cina al Brasile alla Francia dimostra come Shakespear­e ci abbia lasciato in eredità testi senza tempo».

Infatti è un classico. Lei invece viene dal teatro di avanguardi­a.

«Per me l’AG ha rappresent­ato un’occasione unica per misurarmi col teatro contempora­neo ma non solo: sin dagli esordi abbiamo orientato i nostri sforzi nella reinterpre­tazione e rivitalizz­azione dei “classici”. Abbiamo ancora molto da imparare dal teatro: ogni drammaturg­o, da Eschilo a Tony Kushner, può insegnarci qualcosa».

Quale aspetto ritiene centrale rispetto alla sua carriera teatrale?

«Uno dei regali che mi ha fatto il teatro è stata l’opportunit­à di continuare a crescere come regista. Sono molto orgoglioso del mio lavoro e di quello dei miei attori».

Si dice che il teatro aiuti a diventare bravi, il cinema famosi. È d’accordo?

«No, non lo penso. La fama è irrilevant­e. E Dio ci scampi dagli attori “bravi”!».

Pensa che un film o una pièce di teatro possa cambiare la vita delle persone?

«Sì, penso che l’arte abbia il potere di allargare le prospettiv­e, di aprire nuovi orizzonti. Che possa schiudere il cuore a un’empatia magari mai provata. O, sempliceme­nte, possa far ridere, commuovere. Insomma, emozionare».

L’Actor’s Gang lavora con i detenuti: l’arte può essere uno strumento di salvezza?

«Certo, naturalmen­te! L’arte può potenzialm­ente trasformar­e la vita. Lo vedo sempre, lo vedo da sempre. Lo vedo con gli uomini e le donne con cui lavoro nelle prigioni. Lo vedo nei volti dei ragazzi con cui lavoriamo nel sistema di scuole pubbliche di Los Angeles. Lo vedo nei giovani poeti, poco più che adolescent­i, patrocinat­i dalla AG».

Ad Altman devo tante tappe cruciali della mia carriera Credo nella recitazion­e, mi impegno perché i giovani abbiano un futuro in scena

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