TERAPIA CULTURALE
HUMANITAS, STRATEGIA GLOBALE DAL LABORATORIO AL LETTO PER CURARE IL CORPO E LA PSICHE
Nuovi orizzonti L’Istituto di Rozzano nacque 19 anni fa con una matrice anglosassone e un cuore italiano. E contribuisce a rendere Milano una «Città della Salute» con pochi eguali al mondo, con uno scambio di idee ed esperienze sempre più internazionale
Matrice anglosassone, cuore italiano. L’Istituto di ricerca e cura Humanitas di Rozzano ha questo Dna di nascita, 19 anni fa. Anche se l’idea è partita nel 1989, il paziente numero uno vi è stato curato il 4 marzo 1996. Ricerca e clinica, microscopio e corsia, formazione e aggiornamento, giovani emergenti a fianco di «saggi» della medicina. Una crescita costante nel panorama internazionale fino all’affermazione nelle classifiche che contano nella valutazione di un moderno centro medico multispecialistico. Competitivo nella Milano-Città della Salute, che nel suo insieme ha pochi rivali al mondo, ma competitivo anche con i fiori all’occhiello statunitensi.
Già dal 2002, quando diventa case-study per il Master in business administration dell’Università di Harvard e quando ottiene, primo policlinico italiano, l’accreditamento di eccellenza da Joint commission international, agenzia statunitense di certificazione della qualità ospedaliera. Poi, dieci anni dopo, l’ingresso ai primi posti tra gli istituti di ricerca per produzione scientifica, in particolare in campo immunitario. Cruciale, oggi, in vari campi clinici: dai tumori alle malattie cardiovascolari, da quelle infiammatorie alle autoimmuni. «L’ultimo rapporto scientifico testimonia la risposta di Humanitas alle sfide moderne — spiega Alberto Mantovani, direttore scientifico dell’ospedale, docente di Humanit as University, tra gli immunologi più noti al mondo —. La nostra attività è come un edificio che si fonda su quattro grandi pilastri, corrispondenti ad altrettanti modi di affrontare le malattie più incidenti sulla salute e sulla durata della vita: cancro, patologie cardiovascolari e del sistema nervoso centrale e le osteoarticolari. Malattie molto diverse fra loro, ma accomunate dalla relazione con il sistema immunitario che difende l’organismo».
Peraltro la ricaduta è medica e sociale. Un moderno istituto di ricerca e cura che incide sia a livello globale sia a livello territoriale. Sempre con il singolo paziente al centro, occupandosi del suo corpo e della sua psiche, personalizzando la cura dal laboratorio al letto del malato. Nel 2014 Humanitas ha toccato i suoi livelli più alti di produzione scientifica: oltre 3.000 punti di Impact factor (misura di qualità dei lavori pubblicati). L’esame di SCImago research group, che ogni anno analizza le pubvani blicazioni di quasi 5.000 centri di ricerca, pone Rozzano tra i top nel mondo (315mo su 4.849 istituti), in Europa occidentale (141mo su 1.535 centri), in Italia (ottavo su 163). Pubblicazioni di ricerche chiave. Per esempio, la molecola dell’immunità, PTX3, scoperta anni fa dal team di Mantovani, studiata anche come oncosoppressore: frena la crescita del tumore tenendo sotto controllo la risposta infiammatoria ( Cell 2015). «In alcuni tumori (colon, pelle e un tipo di sarcomi) — dice Manto- — PTX3 viene come “spenta” precocemente, quando il tumore è ancora allo stadio di formazione». Riaccenderla significa agire contro il tumore. Nell’«Isola che non c’è» della ricerca e della sanità italiana, che ha cuore in vari Istituti di Milano e dintorni, i Peter Pan della scienza riescono anche ad attirare «cervelli» stranieri, oltre a recuperarne di italiani espatriati. Humanitas è tra questi centri.
Mantovani coccola i suoi giovani di talento: «È importante dare loro una chance in più per trattenersi in Italia. Alcuni sono riusciti a conquistare traguardi fondamentali». Qualche esempio, tra i tanti. C’è Enrico Lugli, tornato nel nostro Paese in seguito alla scoperta di una popolazione di nuove cellule di difesa, contro agenti infettivi e contro il cancro, dalla memoria molto lunga. C’è il francese Sébastien Jaillon che sta sviluppando nuovi tipi di diagnosi per le malattie infettive. E la 32enne Elena Lorenzi, oncologa medica, rientrata dopo esperienze all’estero per portare avanti il Cancer free Project, piano per i cancer survivors, cioè i pazienti che hanno terminato con successo i trattamenti da più di cinque anni e che quindi possono puntare al recupero di un pieno benessere psicofisico. Ancora. Elena Monica Borroni, 35 anni: per lei una molecola chiave dei meccanismi infiammatori e autoimmuni, Ackr2, ha sempre meno segreti. E Kenji Daigo, 39 anni, giapponese, trasferitosi con moglie e due figli a Rozzano dopo 10 anni all’Università di Tokyo: lui studia Ptx3 e la sua azione riattivante il sistema immunitario. Da Tokyo all’«Isola che non c’è» con licenza di uccidere... la sepsi.
Importante dare ai giovani di talento una chance per trattenersi in Italia e convincere quelli stranieri a trasferirsi. Alcuni sono riusciti a conquistare traguardi cruciali