KISSINGER E MOSCA «NON VA ISOLATA»
L’ex segretario di Stato Usa: «È sbagliato voler tirare l’Ucraina da una sola parte»
«Il dialogo tra Usa e Russia è fondamentale per gli equilibri del mondo: va perseguito ed esteso». A dirlo al Corriere è l’ex Segretario di Stato americano Henry Kissinger.
Signor Segretario, il fatto che lei onori Giorgio Napolitano con il premio che porta il suo nome è un’altra conferma che la Guerra fredda è veramente finita?
«La Guerra fredda tra il presidente Napolitano e me è finita da vent’anni».
Ma non c’è un significato più ampio in questo riconoscimento, se Henry Kissinger premia qualcuno che al tempo della Guerra fredda stava dall’altra parte?
«Sicuramente è vero. Significa che ci sono alcuni valori e obiettivi che sono molto importanti e possono trascendere i temi più immediati».
Parlando di temi immediati, il clima internazionale non volge certo alla distensione. Il presidente degli Stati Uniti accusa Mosca di voler ricreare un impero. Quello russo denuncia una presunta volontà americana di voler isolare la Russia. Stiamo camminando come sonnambuli verso una nuova Guerra fredda?
«Penso che il dialogo fondamentale tra Usa e Russia sia importante per gli equilibri del mondo e che debba essere non solo perseguito, ma esteso. Mosca e Washington devono fare di tutto per evitare una politica di confronto ostile».
Ma chi porta la responsabilità di questa situazione?
«Non mi pare utile questo gioco dell’attribuzione delle colpe. La cosa più importante oggi è guardare al futuro, invece che litigare sul passato. Sono ottimista che questo accadrà. Troppo grandi sono gli interessi in ballo perché ciò non succeda».
Cosa si può fare per risolvere la crisi in Ucraina? C’è il rischio di una escalation militare?
«Purtroppo l’escalation è uno scenario possibile ma non voglio entrare nel tema. Ho già detto che l’errore fatale è pensare di poter tirare l’Ucraina completamente dall’una o dall’altra parta, mentre il suo ruolo può essere solo quello di ponte tra Europa e Russia».
Cosa celebra lei, con questo premio, nella vita e nell’azione di Giorgio Napolitano?
«Onoriamo prima di tutto i valori del mondo occidentale, che vanno oltre i conflitti politici. In lui e nell’ex ministro degli Esteri tedesco Hans-Dietrich Genscher onoriamo persone, la cui vita e le cui azioni li rappresentano e li incarnano, contribuendo al loro sviluppo e alla loro diffusione».
È stato complicato diventare amici?
«Io e il presidente Napolitano siamo stati amici per più di due decenni. In questo periodo non sono mai stato in Italia senza andarlo a trovare e lui non è mai venuto in America senza incontrarmi. Ed è stato possibile dar vita a una vera riflessione comune. Non si è trattato di tollerarci a vicenda, ma di scoprire una comune attitudine».
Ma non è proprio questo atteggiamento comune che stiamo perdendo nella conversazione tra grandi potenze?
«I grandi Paesi si trovano in una nuova situazione storica e non sono stati ancora capaci di adeguarsi alle mutate condizioni della realtà globale».
Ma c’è qualche errore che l’Occidente sta commettendo verso la Russia?
«Non parlerei di errore. Ma i Paesi occidentali devono riconoscere che la Russia è importante per la pace nel mondo, che abbiamo bisogno del suo contributo per affrontare questioni gravi come le crisi regionali, il terrorismo islamico, la proliferazione delle armi di distruzione di massa, il clima, la sicurezza alimentare. A sua volta la Russia deve riconoscere il senso di limitazione che l’approccio europeo nella politica internazionale comporta».
Parlando di crisi regionali, quanto la preoccupa la Libia?
«In Libia la situazione è talmente grave che bisogna stare attenti a non fare più danni. Non esiste altra soluzione che lavorare a un governo di unità nazionale riconosciuto dalla comunità internazionale». Qual è l’episodio dell’amicizia con Giorgio Napolitano che ricorda con piacere?
«Io avevo sempre pensato che i comunisti dovevano essere tenuti fuori dal governo in Italia. E poi, nel 1996, Giorgio Napolitano venne fatto ministro degli Interni, forse l’ultima posizione nella quale noi americani avremmo voluto vedere un comunista. Quando andai a visitarlo nel suo bellissimo ufficio al palazzo del Viminale, per congratularmi con lui, pensai che fosse sproporzionato per un ex comunista e mi venne spontaneo dirglielo. Lui sorrise di gusto a quella battuta».
Una persona decisiva nello sviluppo della sua amicizia con Napolitano fu l’avvocato Agnelli. Ci racconta un po’ il suo ruolo di mediatore?
«Bisogna dare il giusto credito all’avvocato Agnelli. In molte occasioni di miei viaggi in Italia, egli invitò Napolitano a casa sua a Roma per delle conversazioni insieme. Ma un elemento importante nello sviluppo della nostra amicizia è che non sono mai stati confronti ostili, non ci attaccammo mai a vicenda, c’è sempre stata la reciproca volontà di comprendere le rispettive ragioni».
Qual è il ruolo dell’Italia nei rapporti transatlantici? E quanto pesano le accuse di essere troppo morbida con la Russia?
« Nessuno può mettere in dubbio l’amicizia profonda tra il popolo italiano e quello americano. Tanti legami importanti ci uniscono. L’Italia ha vissuto grandi tragedie nella sua Storia, ha dato un contributo fondamentale alla stabilità e all’equilibrio e in questo ha avuto un ruolo utile e prezioso». Ma oggi? «Oggi direi che il livello di comprensione tra Europa e Usa non è al livello di profondità che mi augurerei, ma anche in questo il ruolo dell’Italia nel superare alcune difficoltà può essere molto importante».