Solo l’Unione «piena» può battere la povertà
Era il 2010 e l’Europa lanciava la sua strategia per diventare, entro il 2020, un’economia intelligente, sostenibile e solidale, con l’obiettivo di aiutare gli Stati a raggiungere elevati livelli di occupazione, produttività e coesione sociale. Siamo a metà strada, la Grande crisi è stata archiviata dalla maggior parte dei Paesi e ora si parla di crescita moderata. Sono state necessarie azioni eccezionali da parte della Bce per dare una spinta all’economia dell’eurozona. È servito l’intervento di Ue, Bce e Fmi per salvare dal dissesto tre Paesi: Irlanda, Portogallo e Grecia, che ancora rischia il default e per la quale non si riesce a trovare un accordo tra le richieste legittime dei creditori e le legittime necessità dei debitori. Sono stati gli anni dell’austerity, che ha imposto a Stati e cittadini di ripensare il welfare e la cosa pubblica. Ora l’Europa si trova anche ad affrontare l’emergenza immigrazione, con una Commissione Ue che chiede agli Stati di essere solidali e i Ventotto che si spaccano sul concetto di solidarietà. In questo quadro come vanno letti i risultati raggiunti dalla Strategia 2020? Per misurare i progressi la Ue si era data 5 obiettivi quantitativi su occupazione, investimenti in ricerca e sviluppo, cambiamenti climatici e sostenibilità energetica, istruzione, lotta alla povertà e all’emarginazione. Su fonti rinnovabili e riduzione di CO2 la Ue procede spedita, così come nella diffusione dell’istruzione. Avanza anche su lavoro (crisi permettendo) e investimenti in ricerca ma sulla lotta alla povertà arranca: è lontano l’obiettivo di sottrarre almeno 20 milioni di persone da una situazione di povertà ed emarginazione. L’impressione è che per un’Europa sostenibile serva un’Unione piena mentre, per citare il presidente della Bce Mario Draghi, «la nostra è una costruzione non conclusa».
«Cambiare l’intero sistema finanziario per rendere il sistema finanziario al servizio di tutti, in particolare dei disoccupati, dei beneficiari dell’assistenza sociale, delle minoranze, delle donne e dei giovani. In sostanza, renderlo inclusivo». È il pensiero dell’economista bengalese Muhammad Yunus, che aggiunge: «Quello che dobbiamo fare è riparare il sistema».
Yunus è ideatore e realizzatore della Grameen Bank dedicata al microcredito moderno, il sistema di piccoli prestiti destinati a persone troppo povere per ottenere credito dai circuiti tradizionali, che nel 2006 gli è valso il Nobel per la pace. Nel 1983, dopo aver meditato sulla povertà del Paese, ebbe il merito di fondare in Bangladesh la Grameen Bank, anche detta «banca dei poveri». Prima, però, vagò a lungo nelle strade per analizzare l’economia di un villaggio rurale nel suo svolgersi quotidiano. Dal suo studio approfondito ebbe modo di comprendere che la povertà non era affatto dovuta all’ignoranza o alla pigrizia delle persone, bensì al carente sostegno da parte delle strutture finanziarie del suo Paese. L’economista sarà a Milano dal primo luglio, in occasione del Forum Mondiale delle Imprese sociali.
Professor Yunus, lei è per tutti «il banchiere dei poveri». Dopo decenni di attività è tempo di bilanci.
«Il microcredito ha percorso una lunga strada. Si è dimostrato che i servizi finanziari possono essere forniti ai più poveri in modo efficiente e sostenibile, senza garanzia. Funziona in tutte le situazioni economiche, geografiche e politiche. E si è visto come i poveri possono possedere una loro banca con successo».
Quale è il volume oggi del microcredito?
«Già più di 170 milioni di donne hanno ricevuto un prestito. L’anno scorso la banca ha dato 1,5 miliardi di dollari sotto forma di prestiti e le persone povere hanno accumulato 1,5 miliardi sui propri conti risparmio. Il Bangladesh ha raggiunto l’obiettivo del Millennio di ridurre la povertà della metà entro il 2013, molto prima del termine, il dicembre 2015».
Iniziativa tutta privata o anche frutto di una sinergia con il pubblico?
«Se vengono prese iniziative giuridiche adeguate per consentire la creazione di banche dei poveri lo svantaggio economico può essere azzerato».
Ora però la sua Grameen Bank è passata in gestione allo Stato del Bangladesh.
«La Grameen Bank è di proprietà prevalente (75%) delle persone che prendono i prestiti. La sua struttura di gestione non consente al governo di controllare la banca. È un peccato che la politica abbia sostenuto che dovesse diventare una Alleanza L’economista e banchiere Muhammad Yunus insieme ad alcune aderenti alla sua rete di microcredito per imprenditori poveri
L’allarme «Lo Stato bengalese vuol gestire la banca dei piccoli prestiti: così si perde la natura sociale»