Corriere della Sera

Solo l’Unione «piena» può battere la povertà

- Di Francesca Basso

Era il 2010 e l’Europa lanciava la sua strategia per diventare, entro il 2020, un’economia intelligen­te, sostenibil­e e solidale, con l’obiettivo di aiutare gli Stati a raggiunger­e elevati livelli di occupazion­e, produttivi­tà e coesione sociale. Siamo a metà strada, la Grande crisi è stata archiviata dalla maggior parte dei Paesi e ora si parla di crescita moderata. Sono state necessarie azioni eccezional­i da parte della Bce per dare una spinta all’economia dell’eurozona. È servito l’intervento di Ue, Bce e Fmi per salvare dal dissesto tre Paesi: Irlanda, Portogallo e Grecia, che ancora rischia il default e per la quale non si riesce a trovare un accordo tra le richieste legittime dei creditori e le legittime necessità dei debitori. Sono stati gli anni dell’austerity, che ha imposto a Stati e cittadini di ripensare il welfare e la cosa pubblica. Ora l’Europa si trova anche ad affrontare l’emergenza immigrazio­ne, con una Commission­e Ue che chiede agli Stati di essere solidali e i Ventotto che si spaccano sul concetto di solidariet­à. In questo quadro come vanno letti i risultati raggiunti dalla Strategia 2020? Per misurare i progressi la Ue si era data 5 obiettivi quantitati­vi su occupazion­e, investimen­ti in ricerca e sviluppo, cambiament­i climatici e sostenibil­ità energetica, istruzione, lotta alla povertà e all’emarginazi­one. Su fonti rinnovabil­i e riduzione di CO2 la Ue procede spedita, così come nella diffusione dell’istruzione. Avanza anche su lavoro (crisi permettend­o) e investimen­ti in ricerca ma sulla lotta alla povertà arranca: è lontano l’obiettivo di sottrarre almeno 20 milioni di persone da una situazione di povertà ed emarginazi­one. L’impression­e è che per un’Europa sostenibil­e serva un’Unione piena mentre, per citare il presidente della Bce Mario Draghi, «la nostra è una costruzion­e non conclusa».

«Cambiare l’intero sistema finanziari­o per rendere il sistema finanziari­o al servizio di tutti, in particolar­e dei disoccupat­i, dei beneficiar­i dell’assistenza sociale, delle minoranze, delle donne e dei giovani. In sostanza, renderlo inclusivo». È il pensiero dell’economista bengalese Muhammad Yunus, che aggiunge: «Quello che dobbiamo fare è riparare il sistema».

Yunus è ideatore e realizzato­re della Grameen Bank dedicata al microcredi­to moderno, il sistema di piccoli prestiti destinati a persone troppo povere per ottenere credito dai circuiti tradiziona­li, che nel 2006 gli è valso il Nobel per la pace. Nel 1983, dopo aver meditato sulla povertà del Paese, ebbe il merito di fondare in Bangladesh la Grameen Bank, anche detta «banca dei poveri». Prima, però, vagò a lungo nelle strade per analizzare l’economia di un villaggio rurale nel suo svolgersi quotidiano. Dal suo studio approfondi­to ebbe modo di comprender­e che la povertà non era affatto dovuta all’ignoranza o alla pigrizia delle persone, bensì al carente sostegno da parte delle strutture finanziari­e del suo Paese. L’economista sarà a Milano dal primo luglio, in occasione del Forum Mondiale delle Imprese sociali.

Professor Yunus, lei è per tutti «il banchiere dei poveri». Dopo decenni di attività è tempo di bilanci.

«Il microcredi­to ha percorso una lunga strada. Si è dimostrato che i servizi finanziari possono essere forniti ai più poveri in modo efficiente e sostenibil­e, senza garanzia. Funziona in tutte le situazioni economiche, geografich­e e politiche. E si è visto come i poveri possono possedere una loro banca con successo».

Quale è il volume oggi del microcredi­to?

«Già più di 170 milioni di donne hanno ricevuto un prestito. L’anno scorso la banca ha dato 1,5 miliardi di dollari sotto forma di prestiti e le persone povere hanno accumulato 1,5 miliardi sui propri conti risparmio. Il Bangladesh ha raggiunto l’obiettivo del Millennio di ridurre la povertà della metà entro il 2013, molto prima del termine, il dicembre 2015».

Iniziativa tutta privata o anche frutto di una sinergia con il pubblico?

«Se vengono prese iniziative giuridiche adeguate per consentire la creazione di banche dei poveri lo svantaggio economico può essere azzerato».

Ora però la sua Grameen Bank è passata in gestione allo Stato del Bangladesh.

«La Grameen Bank è di proprietà prevalente (75%) delle persone che prendono i prestiti. La sua struttura di gestione non consente al governo di controllar­e la banca. È un peccato che la politica abbia sostenuto che dovesse diventare una Alleanza L’economista e banchiere Muhammad Yunus insieme ad alcune aderenti alla sua rete di microcredi­to per imprendito­ri poveri

L’allarme «Lo Stato bengalese vuol gestire la banca dei piccoli prestiti: così si perde la natura sociale»

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