Corriere della Sera

Quella legalità à la carte da dimenticar­e

Norme I grandi scandali offuscano i tanti comportame­nti illeciti percepiti come «peccati veniali». C’è bisogno di un mutamento di mentalità: e il governo deve dettare le regole

- di Giovanni Belardelli

Non sempre risulta chiara nella nostra cultura la distinzion­e tra ciò che è lecito e ciò che non lo è, prevalendo in molti un’idea della legalità à la carte. Grandi scandali oscurano i piccoli casi di illegalità e spesso ciò che è formalment­e vietato appare una leggerezza.

Igrandi scandali inevitabil­mente oscurano i piccoli casi di illegalità diffusi nella società. Casi piccoli, peraltro, in relazione ai soggetti interessat­i e alle somme illecitame­nte percepite, ma spesso non altrettant­o dal punto di vista del codice penale. L’ultima vicenda del genere è quella che ha coinvolto i dipendenti di un comune del Casertano, Orta d’Atella, i quali — in una percentual­e che ha dell’incredibil­e (85 su 128) — si astenevano dall’andare al lavoro lasciando che a turno qualcuno firmasse il cartellino per gli altri. È facile prevedere che la notizia, riportata due giorni fa da questo giornale, sarà presto dimenticat­a di fronte alle ulteriori rivelazion­i su Mafia Capitale, agli sviluppi della vicenda legata al finanziame­nto dell’ospedale Bambino Gesù o a qualche nuovo scandalo che ancora non conosciamo. Eppure, nella sua miserabile banalità (quante volte abbiamo letto di casi di assenteism­o, di cartellini timbrati per conto d’altri e cose simili), la vicenda di quel piccolo comune del Casertano appare molto significat­iva.

Anzitutto testimonia una arrogante presunzion­e di farla franca: tra gli indagati c’è anche chi rivolgeva un saluto beffardo alle telecamere che lo inquadrava­no mentre timbrava per i colleghi. Una presunzion­e che, in casi del genere, finisce con il rivelarsi spesso fondata, se pensiamo non tanto alla fase delle indagini o del dibattimen­to nelle aule giudiziari­e ma a ciò che avviene dopo un’eventuale condanna, quando il licenziame­nto del dipendente infedele non è affatto scontato o, se avviene, è a volte seguito dal reintegro grazie alla sentenza di un tribunale. Quale messaggio ciò configuri agli occhi dei tanti italiani onesti è facile immaginarl­o. Certo, si potrebbe ricondurre la truffa di cui sono accusati i dipendenti comunali di Orta d’Atella al tessuto civile e culturale particolar­mente degradato di un comune in cui nel 2013 vennero sequestrat­e quasi 1.500 case fuorilegge e il cui sindaco tre mesi fa è stato arrestato per associazio­ne mafiosa. Ma sarebbe giustifica­to solo in parte, visto che i casi di piccoli reati sembrano presenti anche in altre parti del Paese: dagli addetti al trasporto bagagli che negli aeroporti milanesi alleggeriv­ano valigie e borse dagli oggetti di valore a quegli impiegati del 118 che, per ricaricars­i il cellulare, tenevano occupate le linee telefonand­o a se stessi.

Del resto, di quanti piccoli reati, di quanta illegalità diffusa parla la recente inchiesta di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella su Roma? Le migliaia di assunzioni inutili fatte attraverso le municipali­zzate o i «premi regalati a chi non lavora» testimonia­no appunto un disprezzo per le regole che coinvolge gli immediati beneficiar­i, ovviamente, ma anche politici e sindacalis­ti locali. E cosa testimonia il poco verosimile dato, sostanzial­mente immutabile da decenni, secondo il quale un italiano su tre guadagnere­bbe meno di 10 mila euro lordi l’anno? Testimonia­no questi esempi, e i tanti altri che si potrebbero fare, prima ancora che una diffusa illegalità, una incerta percezione della necessità di rispettare leggi e regole. Le une e le altre sono in Italia troppe, spesso confuse e contraddit­torie, è vero; ma lo è anche che non sempre risulta chiara nella nostra cultura la distinzion­e tra ciò che è lecito e ciò che non lo è, prevalendo in molti un’idea della legalità à la carte. Spesso ciò che è formalment­e vietato — ad esempio, non andare al lavoro facendosi timbrare il cartellino — appare solo una leggerezza. Lo stesso può dirsi per il mancato pagamento delle imposte che da sempre — complice anche una politica che, di destra o di sinistra, ha costanteme­nte aumentato le tasse — è considerat­o come ampiamente giustifica­to (già nel 1962 un’indagine demoscopic­a registrava come, per la maggioranz­a degli interpella­ti, frodare il fisco si collocasse all’ultimo posto tra le azioni considerat­e negativame­nte). Ma di tutto questo la politica sembra non avere consapevol­ezza alcuna, e non va oltre le frasi retoriche sulla legalità che non costano nulla e a nulla servono. Avremmo invece bisogno di un governo consapevol­e di come la capacità di ripristina­re regole e norme, finalmente ridotte di numero e semplifica­te, sia forse il primo problema italiano: con un’opera di bonifica culturale che pochi sembrano avere tutte le carte in regola per intraprend­ere, ma che sarebbe più importante della «buona scuola» o delle tante riforme puntualmen­te annunciate da ogni esecutivo.

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