Quella legalità à la carte da dimenticare
Norme I grandi scandali offuscano i tanti comportamenti illeciti percepiti come «peccati veniali». C’è bisogno di un mutamento di mentalità: e il governo deve dettare le regole
Non sempre risulta chiara nella nostra cultura la distinzione tra ciò che è lecito e ciò che non lo è, prevalendo in molti un’idea della legalità à la carte. Grandi scandali oscurano i piccoli casi di illegalità e spesso ciò che è formalmente vietato appare una leggerezza.
Igrandi scandali inevitabilmente oscurano i piccoli casi di illegalità diffusi nella società. Casi piccoli, peraltro, in relazione ai soggetti interessati e alle somme illecitamente percepite, ma spesso non altrettanto dal punto di vista del codice penale. L’ultima vicenda del genere è quella che ha coinvolto i dipendenti di un comune del Casertano, Orta d’Atella, i quali — in una percentuale che ha dell’incredibile (85 su 128) — si astenevano dall’andare al lavoro lasciando che a turno qualcuno firmasse il cartellino per gli altri. È facile prevedere che la notizia, riportata due giorni fa da questo giornale, sarà presto dimenticata di fronte alle ulteriori rivelazioni su Mafia Capitale, agli sviluppi della vicenda legata al finanziamento dell’ospedale Bambino Gesù o a qualche nuovo scandalo che ancora non conosciamo. Eppure, nella sua miserabile banalità (quante volte abbiamo letto di casi di assenteismo, di cartellini timbrati per conto d’altri e cose simili), la vicenda di quel piccolo comune del Casertano appare molto significativa.
Anzitutto testimonia una arrogante presunzione di farla franca: tra gli indagati c’è anche chi rivolgeva un saluto beffardo alle telecamere che lo inquadravano mentre timbrava per i colleghi. Una presunzione che, in casi del genere, finisce con il rivelarsi spesso fondata, se pensiamo non tanto alla fase delle indagini o del dibattimento nelle aule giudiziarie ma a ciò che avviene dopo un’eventuale condanna, quando il licenziamento del dipendente infedele non è affatto scontato o, se avviene, è a volte seguito dal reintegro grazie alla sentenza di un tribunale. Quale messaggio ciò configuri agli occhi dei tanti italiani onesti è facile immaginarlo. Certo, si potrebbe ricondurre la truffa di cui sono accusati i dipendenti comunali di Orta d’Atella al tessuto civile e culturale particolarmente degradato di un comune in cui nel 2013 vennero sequestrate quasi 1.500 case fuorilegge e il cui sindaco tre mesi fa è stato arrestato per associazione mafiosa. Ma sarebbe giustificato solo in parte, visto che i casi di piccoli reati sembrano presenti anche in altre parti del Paese: dagli addetti al trasporto bagagli che negli aeroporti milanesi alleggerivano valigie e borse dagli oggetti di valore a quegli impiegati del 118 che, per ricaricarsi il cellulare, tenevano occupate le linee telefonando a se stessi.
Del resto, di quanti piccoli reati, di quanta illegalità diffusa parla la recente inchiesta di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella su Roma? Le migliaia di assunzioni inutili fatte attraverso le municipalizzate o i «premi regalati a chi non lavora» testimoniano appunto un disprezzo per le regole che coinvolge gli immediati beneficiari, ovviamente, ma anche politici e sindacalisti locali. E cosa testimonia il poco verosimile dato, sostanzialmente immutabile da decenni, secondo il quale un italiano su tre guadagnerebbe meno di 10 mila euro lordi l’anno? Testimoniano questi esempi, e i tanti altri che si potrebbero fare, prima ancora che una diffusa illegalità, una incerta percezione della necessità di rispettare leggi e regole. Le une e le altre sono in Italia troppe, spesso confuse e contraddittorie, è vero; ma lo è anche che non sempre risulta chiara nella nostra cultura la distinzione tra ciò che è lecito e ciò che non lo è, prevalendo in molti un’idea della legalità à la carte. Spesso ciò che è formalmente vietato — ad esempio, non andare al lavoro facendosi timbrare il cartellino — appare solo una leggerezza. Lo stesso può dirsi per il mancato pagamento delle imposte che da sempre — complice anche una politica che, di destra o di sinistra, ha costantemente aumentato le tasse — è considerato come ampiamente giustificato (già nel 1962 un’indagine demoscopica registrava come, per la maggioranza degli interpellati, frodare il fisco si collocasse all’ultimo posto tra le azioni considerate negativamente). Ma di tutto questo la politica sembra non avere consapevolezza alcuna, e non va oltre le frasi retoriche sulla legalità che non costano nulla e a nulla servono. Avremmo invece bisogno di un governo consapevole di come la capacità di ripristinare regole e norme, finalmente ridotte di numero e semplificate, sia forse il primo problema italiano: con un’opera di bonifica culturale che pochi sembrano avere tutte le carte in regola per intraprendere, ma che sarebbe più importante della «buona scuola» o delle tante riforme puntualmente annunciate da ogni esecutivo.