Corriere della Sera

«Il premier rifletta sull’Italicum o il Paese rischia di andare a Grillo»

Toti: ma se il premio resterà alla lista con la Lega troveremo la formula migliore Non si voterà prima del 2017, alle prossime Comunali misureremo i rapporti di forza

- di Paola Di Caro

ROMA «Siamo proprio sicuri che alla fine si andrà a votare con questa legge elettorale? Che saremo obbligati a farlo con una lista unica e non una coalizione?».

Lei pensa di no, presidente Giovanni Toti?

«Io penso che anche Renzi dovrà riflettere sulla convenienz­a di un sistema che così porterebbe al ballottagg­io anche Grillo. Con il grave rischio che il Paese prenda una deriva estremista che sarebbe pericolosa e già largamente sperimenta­ta in altri Stati europei da Tsipras a Podemos».

E se l’Italicum non cambiasse, crede che la Lega entrerebbe in una lista unica?

«Ma la lista unica, il partito unico, non ci sarebbero in ogni caso. Piuttosto occorre lavorare, come già stiamo facendo, per costruire un contenitor­e che riunisca più simboli e sigle».

A oggi non sembra che tra Berlusconi e Salvini ci sia perfetta unità di intenti

«Dopo questa importante e positiva tornata elettorale che ci ha permesso di vincere in regioni come la mia Liguria, il Veneto e in città anche simbolo come Venezia, Arezzo e Pietrasant­a, e alla luce di sondaggi che ci danno in crescita anche se c’è da lavorare per tonificare e rilanciare il nostro partito, credo proprio che Berlusconi e Salvini possano sedersi sereni e soddisfatt­i attorno al tavolo per costruire il futuro del centrodest­ra».

Sulla carta percorso obbligato, in pratica accidentat­o...

«È ovvio che, cambiato il sistema elettorale e cambiata la storia in questi ultimi anni, non possiamo immaginare di rivedere il centrodest­ra esattament­e con lo schema che abbiamo conosciuto finora. Ma il discorso che fa Berlusconi è di semplice buonsenso: se resta l’Italicum, non è interesse nè nostro nè di Salvini mandare Grillo al ballottagg­io. Troveremo la formula giusta per competere insieme».

La formula è quella che vi ha fatto vincere Veneto e Liguria?

«Uniti, e con candidati credibili, si può vincere. E da qui stiamo ripartendo: tra noi presidenti di Regione di centrodest­ra — io, Maroni, Zaia — ci sono già azioni comuni e progetti di collaboraz­ione, e in Parlamento è stato aperto un tavolo informale per valutare la compatibil­ità dei programmi».

Resta il problema della leadership: Salvini lancia l’Opa e pretende le primarie

«Abbiamo tempo per stabilire le regole di selezione della classe dirigente, non si voterà prima del 2017-2018, anche se il Paese va a rotoli nonostante gli slogan di Renzi. E Berlusconi stesso ha detto che, se regolate per legge e serie, non è affatto contrario a primarie di coalizione. Ma possono esserci anche altri strumenti altrettant­o de- mocratici».

Il vero scoglio non sarà quello di dividersi posti e peso nelle liste?

«Ma non si può discutere oggi di questo, non è il momento! Semmai, le prove generali per stabilire rapporti di forza ed equilibri saranno il prossimo anno, quando si terrà una tornata elettorale cruciale in città come Milano, Torino, Napoli e speriamo per i romani anche nella capitale d’Italia. E il nostro impegno primario sarà quello di riportare a votare quel 50% degli italiani che si sono astenuti nelle ultime elezioni, molti dei quali nostri elettori tradiziona­li».

Pensate a candidatur­e sul modello Venezia?

«È un’ipotesi suggestiva, ha funzionato. Poi, certo, devi trovare candidati bravi come Brugnaro e devi essere generoso come partito, esattament­e come è avvenuto a Venezia».

Mentre tentate di costruire il contenitor­e dei moderati, voi di FI non avete bisogno di una ristruttur­azione, di nuovi ruoli?

«Ma FI è già cambiata, anche se alcuni sembrano non accorgerse­ne. C’è già una nuova classe dirigente nei posti chiave che si muove in sintonia, coerente, allineata, in un mix di giovani e di esperti. Il rinnovamen­to è in atto».

Per questo non avete più bisogno di Verdini?

«Io non mi auguro affatto che Verdini lasci il partito. Si può discutere di linea politica, è sempre legittimo, ma quando si decide — e la nostra scelta è stata quella di chiudere il patto del Nazareno che Renzi aveva tradito —, non è possibile che chi non ci sta scappi via col pallone... C’è posto per tutti, ma non esistono uomini per tutte le stagioni. E oggi serve una nuova classe politica, per una politica nuova».

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