Corriere della Sera

I miei giorni prigionier­a

- Viviana Mazza

dalla nostra inviata a Yola negli ultimi due anni, con oltre 20mila morti, 1,5 milioni di sfollati, 230mila profughi in Niger, Camerun, Ciad. La scorsa settimana il commissari­o europeo per gli aiuti umanitari Chr stos Stylianid s ha promesso 21 milioni in più per la crisi: 12,5 per la Nigeria (il totale per il 2015 sarà 20,5). Nello stato di Adamawa — uno dei tre insieme a Yobe e Borno dove nel 2013 è stato dichiarato lo stato di emergenza — massacri, kamikaze e rapimenti di massa sono diventati minacce quotidiane. I miliziani hanno colpito chiese e moschee, stazioni degli autobus e mercati, ospedali e scuole che rappresent­ano l’odiata istruzione occidental­e. Gli operatori umanitari nigeriani, come Hassan Coulibaly dell’Internatio­nal Rescue Committee (Irc) e il suo staff, uno dei partner dell’Ue, sono nel mirino: a ottobre sono scampati alla strage nel villaggio di Mubi, fuggendo a piedi in Camerun. «Scappavano anche i soldati. Si strappavan­o la divisa di dosso, supplicava­no che dessimo loro degli abiti civili».

Nelle ultime settimane della presidenza di Goodluck Jonathan (criticato per l’incapacità di fronteggia­re la crisi) e dopo l’elezione a marzo di Muhammadu Buhari, i successi dell’esercito hanno consentito il ritorno di alcuni sfollati, ma altri hanno paura: i miliziani sono capaci di attaccare, come hanno fatto nel mercato di Yola il 5 giugno. Tra le bancarelle di frutta e di jeans, davanti al negozio di elettrodom­estici del A casa Semo Sunday, 10 anni, è una delle ragazze rapite da Boko Haram nel Nord della Nigeria. Sono almeno 2.000 le giovani strappate alle famiglie negli ultimi due anni, secondo Amnesty Internatio­nal

Semo Sunday ha solo 10 anni Con altre giovani nigeriane è stata rapita da Boko Haram Per otto mesi è rimasta nella foresta. Poi è riuscita a fuggire

23enne Abdel Karim Amadu, un palo metallico porta i segni delle schegge. Lui ha una cicatrice sul volto: mostra la foto del fratello Kabiru Adamu, 30 anni, studente, ucciso con altre 30 persone. «Il kamikaze ha finto di voler comprare qualcosa, poi ha iniziato a litigare sul pagamento. Una lite studiata, per attirare più persone possibile prima di farsi esplodere. Il governo deve darci maggiore sicurezza», dice con gli occhi lucidi.

A maggio a Yola nel campo di Malakhoi sono arrivate 677 donne salvate dalla foresta di Sambisa: diverse incinte. Non sono più qui. «Trasferite per ragioni di sicurezza». Molti sperano che non siano le ultime. Ruth Ndayem, 65 anni fa la maglia e vende gomme da masticare per pagarsi il viaggio di ritorno al villaggio di Michika, ma spera che prima o poi il nipotino dodicenne venga strappato alle grinfie di Boko Haram. Ne hanno fatto probabilme­nte un soldato. L’esercito lo restituirà alla famiglia? Amnesty ha denunciato la morte in detenzione, sotto tortura, di 8.000

Crisi umanitaria A Yola si sono rifugiati 400 mila sfollati, numero superiore agli abitanti. E sono spuntati 41 campi informali accanto ai 5 del governo

persone nella lotta contro Boko Haram. Il ritorno non è semplice nemmeno per le ragazze, cristiane o musulmane. «Le riprendere­mo con noi come Semo, ma non senza sospetti: forse la loro personalit­à è cambiata», dice John Yakubu a Santa Theresa. «Se sono incinte, sarebbe meglio che abortisser­o».

Il sarto Abdullahi Mohammad, musulmano, racconta che a molti musulmani viene presentata la scelta tra la morte e unirsi a Boko Haram. «Mio fratello è stato ammazzato perché ha rifiutato, mia sorella rapita». Se incinta potrebbe tornare? Scuote la testa.

Negli slum senza strade asfaltate della capitale Abuja, incontriam­o le famiglie di tre ragazze di Chibok. Il salvataggi­o delle 677 donne di Yola ha riacceso in loro la speranza. Esther Yakubu sogna spesso la liberazion­e della figlia Dorcas, 15 anni. Come regalo per la fine degli studi le aveva comprato una macchina da cucire: doveva essere una sorpresa. E’ rimasta a Chibok, insieme ai suoi sogni.

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Yola
Adamawa Yola

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