UN NUOVO GALATEO DELLE DIMISSIONI PER DISTINGUERE TRA SOMMERSI E SALVATI
Ci vorrebbe un Giovanni della Casa, che scrivesse un moderno galateo delle dimissioni. Perché, e non da oggi, non ci si capisce più niente. Mettete il caso Roma. Si sa che il premier vedrebbe di buon occhio le dimissioni del sindaco Marino, il che conferma il suo ottimo orecchio per gli umori popolari. Ma appena ieri lo stesso premier ha chiesto e ottenuto dalla Camera di respingere la richiesta di dimissioni del sottosegretario Castiglione. I due uomini politici sono accomunati dal fatto di essere finiti nella bufera dell’inchiesta giudiziaria di Mafia Capitale; solo che Marino non è indagato, e anzi molti giurano pubblicamente sulla sua onestà, mentre Castiglione è indagato per turbativa d’asta, a proposito degli affari di Odevaine nel centro di accoglienza di Mineo. Che cosa spiega questa disparità di trattamento? Sembrerebbe chiaro che nella scelta tra i sommersi (Marino) e i salvati (Castiglione) sia prevalso un benemerito rifiuto del cosiddetto «giustizialismo»: la nuova politica non vuole più prendere ordini dalle procure. Ma qual è allora il criterio squisitamente politico che è stato seguito?
Marino deve cadere perché fa perdere voti al suo partito (Pd), mentre Castiglione deve restare perché li fa prendere al suo (Ncd)? Oppure ancora, più brutalmente, Marino se ne deve andare perché ogni giorno in più alla guida del Comune di Roma in evidente stato di alterazione danneggia Renzi, mentre la cacciata di Castiglione danneggerebbe Alfano e di conseguenza il governo Renzi? In entrambi i casi, comprendiamo le ragioni della politica. Del resto sono le stesse che hanno finora sconsigliato di far dimettere i sottosegretari a vario titolo indagati ma hanno consigliato di far dimettere il ministro Lupi non indagato. E che consigliano di sospendere al più presto — come ieri ha promesso Renzi — il governatore fantasma della Campania Vincenzo De Luca condannato in primo grado e ciononostante candidato ed eletto.