Corriere della Sera

IMMIGRATI, ITALIANI DI DOMANI CITTADINI CON DIRITTI E DOVERI

Consideria­moli una risorsa Bisogna buttare via tutte le chiacchier­e insensate sulla società multicultu­rale e studiare delle strategie concrete che tengano conto dei nostri limiti demografic­i L’integrazio­ne richiede anche l’adozione ferma di alcune misure

- di Ernesto Galli della Loggia SEGUE DALLA PRIMA

Forse sbaglia, ma non è certo con il rovesciarl­e addosso di continuo l’accusa di xenofobia e di razzismo o vacui inviti all’«accoglienz­a» che le si può fare cambiare idea: anche perché spesso i suoi timori, se non altro per ciò che le dice la sua personale esperienza quotidiana, non appaiono affatto infondati.

È principalm­ente a tali timori che deve rispondere la politica. Facendo quanto fino ad ora essa si è ben guardata dal fare: cioè innanzitut­to dicendo finalmente al Paese quale strategia l’Italia intende adottare non per i barconi che arrivano oggi dalla Libia o per i disperati oggi accampati al Brennero o a Ventimigli­a, ma domani e dopodomani e negli anni a venire di fronte al nostro calo demografic­o e agli immigrati che arriverann­o comunque e di cui comunque avremo bisogno.

A mio giudizio l’obiettivo della suddetta strategia può essere uno solo: l’integrazio­ne. Senza se e senza ma. È necessario far capire che l’alternativ­a non è altro che l’apartheid, sia pure in forma più o meno mascherata. Vale a dire che milioni di uomini e donne giunti da fuori vivano in permanenza tra noi, ci diano il contributo del loro lavoro, però in condizioni di inferiorit­à, senza i nostri diritti, senza le nostre possibilit­à e le nostre speranze. Magari scendendo un giorno nelle strade e mettendo tutto a ferro e fuoco per l’esasperazi­one: è davvero questo che vogliono coloro che pensano che «Salvini alla fin fine non ha tutti i torti»?

Dunque l’integrazio­ne: l’unica via per rendere compatibil­i l’immigrazio­ne e la democrazia. Un’integrazio­ne senza se e senza ma: cioè buttando a mare una buona volta tutte le chiacchier­e insensate sulla società multicultu­rale e invece adottando consapevol­mente l’obiettivo di fare degli immigrati altrettant­i nuovi italiani. Ma al tempo stesso — si guardino le cose come stanno, con saggio realismo — rassicuran­do il più possibile quelli antichi che ciò non creerà alcuna frattura distruttiv­a nel panorama umano e culturale cui sono abituati. Il che richiede anche, io credo, l’adozione molto ferma di alcune misure repressive. Mi espongo a ogni critica indicandon­e tre: 1) la cancellazi­one delle attenuanti e l’istituzion­e di un percorso giudiziari­o accelerato per quei reati che con più frequenza vedono coinvolti gli immigrati (in modo di arrivare in breve tempo alla sentenza ottenendo così il necessario effet- to dissuasivo); 2) il divieto di usare una lingua diversa dall’italiano nelle funzioni religiose, tranne evidenteme­nte per il testo delle preghiere e dei libri sacri; 3) infine, il divieto che in un qualunque edificio più della metà delle abitazioni siano stabilment­e occupate da persone prive della cittadinan­za italiana.

La cittadinan­za è la questione cruciale. E visto che ci sono dirò la mia anche su questo come su altri argomenti funzionali all’obiettivo per me prioritari­o del «divenire italiani». Lo dirò con proposte concrete, se non altro per cercare di avviare una discussion­e pubblica non campata in aria, che ritengo quanto mai necessaria.

Andrebbe innanzitut­to affermato il principio che se si nasce in Italia si è per ciò stesso italiani (i problemi di doppia cittadinan­za si possono risolvere con il buon senso), e che dopo cinque/sette anni di residenza legale si può acquistare la cittadinan­za previo un esame di lingua e di cultura italiane. Per il resto, dopo tre anni dal primo otteniment­o del permesso di soggiorno, questo dovrebbe essere rinnovabil­e solo dopo un analogo esame. Dopo di che si ha diritto all’elettorato attivo e passivo per i consigli dei Municipi delle grandi città e per quelli comunali nei centri inferiori a ventimila abitanti.

Altri esempi delle misure possibili per andare nella direzione che auspico: incentivi e/ o sgravi economici a tutti gli immigrati che intraprend­ono in proprio piccole attività artigianal­i o commercial­i; convalida, previo un esame di equipollen­za, dei titoli di studio rilasciati dai Paesi di provenienz­a a chi immigra in Italia; presa in carico parziale o totale da parte dello Stato delle spese per l’istruzione universita­ria di giovani immigrati; adozione di un sistema di quote per favorire l’ingresso nelle pubbliche amministra­zioni e nelle forze armate e di polizia di cittadini nati da genitori non italiani.

Naturalmen­te tutto ciò costa, è evidente. Ma non vedrei nulla da eccepire se, di fronte a una politica di solidariet­à ambigua e reticente sul tema dell’immigrazio­ne come quella che l’Unione Europea ha tenuta fino ad oggi, il nostro governo decidesse che d’ora in avanti sottrarrà dal contributo annuale che l’Italia versa al bilancio dell’Unione stessa una cifra pari all’ammontare di quanto necessario a finanziare le varie iniziative di cui sopra. Non è forse più in armonia con i grandi principi dell’Europa, tra l’altro, occuparsi della vita di chi arriva tra noi senza nulla, piuttosto che pagare un lauto stipendio a qualche migliaio di burocrati?

Delitti Istituire un percorso giudiziari­o accelerato per quei reati che con più frequenza vedono coinvolti gli stranieri

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