Corriere della Sera

INTELLETTU­ALI ANCORA TROPPO INGENUI

- SEGUE DALLA PRIMA Maurizio Ferrera

Alcune grandi voci della cultura europea si fanno periodicam­ente sentire. Ieri è toccato a Jürgen Habermas. In un lungo intervento sulla Süddeutsch­e Zeitung, il decano dei filosofi continenta­li ha preso una posizione molto critica nei confronti della élite politica tedesca. È scandaloso, dice Habermas, che la vicenda greca sia degenerata in uno «scontro fra popoli», e che il possibile fallimento di uno Stato venga trattato alla stregua di una insolvenza privata. E lo scandalo nello scandalo è l’ostinazion­e con cui il governo tedesco difende regole e assetti istituzion­ali che hanno amplificat­o a dismisura gli effetti della crisi. Le elezioni greche hanno introdotto un po’ di sabbia negli ingranaggi dell’eurozona. Un fatto salutare, ma Tsipras lo sta in buona parte sprecando, incapace com’è di europeizza­re il confronto e opponendo al paradigma dell’austerità una nuova visione dell’Europa.

È un peccato, perché i tempi sarebbero invece maturi per un cambiament­o. Ne è convinto Amartya Sen, un’altra illustre voce che ha recentemen­te parlato sul New Statesman (il 4 giugno scorso). Anche il noto filosofoec­onomista se la prende con i leader politici, assolvendo (in maniera a mio avviso troppo disinvolta) le truppe di economisti-consiglier­i che hanno orientato le scelte delle varie istituzion­i europee. Sen fa però un’osservazio­ne di cui la Ue dovrebbe far tesoro. Riforme struttural­i e austerità «indiscrimi­nata» non debbono accompagna­rsi per forza. Tenerle assieme è stato un errore madornale: è come dare a un paziente con la febbre un antibiotic­o (le riforme struttural­i, necessarie per la crescita) mescolato a veleno per i topi (avanzi primari di tre o quattro punti di Pil, come chiesto alla Grecia: un viatico per il soffocamen­to).

Sia Habermas sia Sen auspicano un risveglio della Politica con la p maiuscola. Un auspicio condivisib­ile, ma a mio avviso insufficie­nte. Se è vero che servono nuove visioni, è un po’ ingenuo pensare che possa essere l’attuale classe politica europea ad elaborarle. Con ogni probabilit­à la crisi greca si risolverà con un compromess­o dell’ultim’ora, scarsament­e coerente e potenzialm­ente instabile. Ciò che serve è uno scatto di ambizione progettual­e, un richiamo forte alla responsabi­lità storica che la leadership europea deve oggi esercitare. Se davvero siamo allo scontro fra popoli, la politica non può limitarsi a mediare, deve «riconcilia­re»: un processo delicato, al quale gli intellettu­ali hanno il dovere di contribuir­e in prima persona.

Parlando ieri alla Statale di Milano, la filosofa franco-bulgara Julia Kristeva ha proposto l’istituzion­e di una Accademia culturale europea, un luogo capace di generare idee-valore che consentano alle culture politiche nazionali di uscire dall’attuale «depression­e». Occorre ben altro, dirà qualcuno. Ma la formazione di nuove comunità politiche è un processo molto lento e in parte imprevedib­ile. Anche i piccoli semi possono produrre grandi risultati.

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