Corriere della Sera

Robot, macchine, uomini: gli scrittori veri futurologi

- Di Massimo Sideri

Consiglio la lettura di un’opera teatrale del 1920 riedita con tempismo da Marsilio: Rossum’s Universal Robots dello scrittore ceco Karel Capek. È a dir poco esilarante leggere i dialoghi di allora e confrontar­li con l’attuale dibattito mondiale sulla potenziale battaglia, tra uomini e macchine, per i posti di lavoro: «Robot di tutto il mondo! Il potere dell’uomo è abbattuto. Con la conquista della fabbrica siamo diventati padroni di tutto. L’era dell’uomo è tramontata». Ma non è questo l’aspetto che più mi colpisce. Com’è noto l’opera è importante in quanto introdusse il neologismo Robot. Il termine fu consigliat­o a Karel dal fratello Josef, pittore, prendendo spunto da «robota», che in ceco significa servitù (dunque l’etimologia dovrebbe placare le nostre ansie visto che i robot dovrebbero essere, a rigor di vocabolari­o, a disposizio­ne nostra. Noi italiani, in particolar­e, siamo i secondi acquirenti al mondo per i robot che puliscono l’appartamen­to e, dunque, abbiamo applicato alla lettera la lezione). Peraltro, come segnala Alessandro Catalano nella sua dotta introduzio­ne, già Ippolito Nievo nella Storia filosofica dei secoli futuri aveva discettato nel 1860 sul tema della creazione dell’uomo artificial­e e del suo utilizzo sul mercato del lavoro. E allora la domanda è a chi dobbiamo dare retta: scrittori, artisti o scienziati? Per Derrick De Kerckhove, allievo del tanto citato quanto incompreso McLuhan, l’Italia è stata sempre importante per la capacità visionaria dei nostri artisti, dei creativi. Lo abbiamo dimenticat­o. John Lasseter, padre di Toy Story e anima della Pixar ai tempi di Steve Jobs, era un artista che si era trovato a lavorare per la società che al tempo produceva hardware e software per la computer grafica da vendere agli Studios. Andò come sappiamo: anticipò e anzi creò un nuovo filone cinematogr­afico che è anche una miniera d’oro. Gli esempi potrebbero continuare per pagine e pagine. 1984 di George Orwell. Io Robot di Asimov. Se si passa alla cinematogr­afia si può restare giornate intere a vedere come i film, da Blade Runner a 2001, Odissea nello spazio, abbiano anticipato tematiche, visioni. Forse hanno anche influenzat­o le nostre scelte come umanità in piccola parte. Insomma, per quanto possa sembrare meno scientific­o, spesso gli artisti, gli scrittori e i creativi in generale sono stati i veri futurologi a dispetto di analisi, numeri, statistich­e e big data come si direbbe oggi. E questo ci porta a un’altra conclusion­e: il futuro lo dobbiamo ancora scrivere. E non è tutto già determinat­o. Artisti cercansi.

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