Corriere della Sera

La pubblicazi­one dell’agenzia Adn Kronos è giunta alla venticinqu­esima edizione

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Quel che accadde 116 anni fa in un puntino del mondo può servire a far da specchio al nostro presente ancora impestato di razzismi: il ragazzo americano che ha ucciso nove neri in una chiesa metodista episcopale del North Carolina, i migranti arrivati dall’Africa che hanno passato giorni sugli scogli di Ventimigli­a in attesa della libertà negata dagli egoismi della fraterna e colta Europa.

La sera del 20 luglio 1899 cinque siciliani di Cefalù furono impiccati a un pioppo a Tallulah, nello Stato della Louisiana, sul Mississipp­i, linciati da una folla inferocita. Una loro capra aveva brucato, forse era solita farlo, l’erba del prato del medico condotto e coroner del villaggio che a pistoletta­te la uccise. Uno dei cinque si vendicò e sparò contro il medico con un fucile da caccia. Il Grand Jury, convocato nella notte, decretò la morte dei cinque, si parlò di un complotto dei siciliani, i dagos, come venivano chiamati con disprezzo, una razza inferiore, più neri che bianchi. Nemici. I cinque dondolaron­o dall’albero per tutta la notte, il medico condotto non era morto, come era stato detto: colpito dai pallini delle cartucce da caccia andò a casa con le sue gambe...

«Piccole formichine della storia della fine del secolo», definisce i cinque Enrico Deaglio che da quella vicenda ha tratto un libro, Storia vera e terribile tra Sicilia e America, pubblicato da Sellerio. Scrittore civile, autore di libri che segnano il nostro tempo, tra gli altri La banalità del bene, l’avventura di Giorgio Perlasca che a Budapest, durante la Seconda guerra mondiale, riuscì a salvare 5.000 ebrei; Il vile agguato, l’atroce

Sogni

Un piccolo appartamen­to di Little Italy fotografat­o da Lewis Hine per il libro

testo con prefazione di Martin Scorsese. Gli abitanti sono «le piccole formichine della storia» di cui scrive Enrico Deaglio destino del giudice Borsellino assassinat­o dalla mafia, non estranei i servizi segreti, «deviati», naturalmen­te.

Deaglio vive metà dell’anno a San Francisco — l’altra metà a Torino — e gli è capitato di trascorrer­e periodi non brevi a Tallulah. Per un caso viene a sapere di quei cinque dagos che pareva lo attendesse­ro per essere ricordati e avere un po’ di giustizia, anche se postuma.

I libri di Deaglio sembra che nascano come una palla di neve che via via s’ingrossa. Lo scrittore ama i luoghi, va a vedere, non trascura i dettagli che sembrano ininfluent­i ma sono spesso essenziali per capire i fatti.

Chi sono i cinque dagos compaesani di Cefalù, che arrivano in America nel 1892? I tre fratelli Defatta, Joe, Frank, Charles, e con loro Rosario Fiduccia detto Sy Defichi e Giovanni Cirami,

La falsificaz­ione Il medico non era stato ucciso, come si disse in tribunale: tornò a casa con le sue gambe

Settanta del secolo scorso dal romanzo di Vincenzo Consolo, Il sorriso dell’ignoto marinaio, secondo Deaglio assomiglia a Frank Defatta.

I cefalutani se la cavano. A New Orleans lavorano a tagliare la canna da zucchero nelle piantagion­i, poi — la fatica è tremenda — si spingono al Nord, arrivano a Tallulah, trafficano con intraprend­enza, vendono frutta e verdura e riescono a metter su una bottega. Diventano proprietar­i di due pezzetti di terra, di tre muli, di un cavallo, danno la merce a credito, cosa che ai locali non piace, assumono tre o quattro neri ad aiutarli in bottega.

Il presidente Abramo Lincoln, nel settembre 1862, ha firmato il Proclama di emancipazi­one che dichiara liberi gli schiavi degli Stati ribelli della guerra civile. Ma il clima sociale non è sereno in quelle terre

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