Corriere della Sera

Positano premia il filosofo

I fantasmi di Lévy e le maschere della barbarie

- Di Giulio Giorello

Nella rocca di Castelnuov­o della Napoli quattrocen­tesca «vi era una fossa sottoposta al livello del mare… nella quale si solevano cacciare i prigionier­i che si volevano più rigidament­e castigare: quando si cominciò a notare che, di là, i prigionier­i sparivano». Non che facessero la loro ricomparsa nel mondo dei vivi; forse diventavan­o spettri! Ma il meccanismo della trasformaz­ione rimaneva ignoto, finché «un giorno si vide... , da un buco celato della fossa, introdursi dal mare un coccodrill­o, che con le fauci afferrava intero il prigionier­o e se lo trascinava in mare per trangugiar­lo». Da allora la bestiola, «che si suppose venuta dall’Egitto», attaccata ai fianchi di qualche bastimento, avrebbe servito come boia senza stipendio. «Finché, essendosi stabilito di disfarsi del pericoloso visitatore, si tolse un’ancora del bastimento, gli si legò una coscia di cavallo, e si pescò il coccodrill­o, che venne ammazzato», salvo poi venire impagliato come monito per le future generazion­i di criminali; infine scomparve esso pure, come amabilment­e racconta Benedetto Croce nelle sue Storie e leggende napoletane (1919). Ma la Napoli sanguinari­a su cui regnò dal 1458 al 1494 Ferdinando I d’Aragona, noto come Ferrante, era destinata via via ad annoverare tra i propri fantasmi anche gli abitatori di sempre più numerosi «palazzi degli Spiriti», ove — si premura di dirci Croce — si udivano strani rumori e si vedevano paurose apparizion­i. A prescinder­e dalla verosimigl­ianza biologica e storica, la sostanza è che gli spettri, come i sogni, sono una mescolanza inestricab­ile di timori e desideri, e non solo nei nebbiosi scenari del Nord. Come ci insegna una lunga tradizione, almeno da Giambattis­ta Basile allo stesso Croce, per non dire di Eduardo de Filippo, possono essere evocati da principi e popolo sotto i cieli del Mediterran­eo. Sembra che né Basile né Croce credessero troppo alle leggende che andavano raccoglien­do; ma non è necessario credervi per servirsene come scandaglio delle insidie dell’animo umano. Dunque, spettri e spiriti disincarna­ti possono essere anche cose terribilme­nte serie non perché esistano, ma perché spingono chi è vivo a esistere per davvero, senza ridursi a un mero fantasma di se stesso.

«Sono il figlio naturale di una coppia diabolica, il fascismo e lo stalinismo», esordiva nel suo

La barbarie dal volto umano (1977) BernardHen­ri Lévy. Ora, insignito del Premio internazio­nale di giornalism­o civile, credo che non disdegnere­bbe l’accostamen­to alle dimore visitate di cui narrava Croce, lui che è sempre attento al pericolo che, tra onnipotenz­a tecnologic­a e terrorismo globale, tra aggression­e dall’esterno e coscienza infelice dell’Occidente (si pensi alla nefasta azione censoria della «correttezz­a politica», che ben pochi risparmia: da Ovidio a Walt Disney), si tramutino in fantasmi i nostri ideali di giustizia e libertà. La barbarie dal volto umano ha cambiato mille volte maschera, ma è sempre animata da una testarda smania di proibire e insieme da una sfrenata volontà di arrendersi. Per Bernard-Henri la resistenza più efficace non avviene, però, con gli strumenti del politico di profession­e, ma con quelli di un risveglio etico. Potremmo dire perfino con l’aiuto della parola del Dio delle Scritture, se non fosse che, nell’epoca della morte di ogni divinità, sarebbe come opporre agli spettri più torbidi un fantasma dell’antica onnipotenz­a. In realtà, ha scritto Lévy ( Il

testamento di Dio, 1979), è la vena anarchica di certe pagine della Bibbia che può spingere credenti e non credenti dell’Occidente a non sottomette­rsi. Altrimenti, rischiamo di constatare — come il personaggi­o della commedia di Eduardo — che i poveri fantasmi… siamo noi.

Il Premio internazio­nale di giornalism­o civile, viene conferito domani a Positano (Palazzo Murat, ore 21) dall’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli nel quadro della rassegna «Mare, Sole e Cultura». Con Bernard-Henri Lévy premiati Giovanna Botteri e Vittorio Feltri

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