E su pensioni e solidarietà dalla Consulta un altro verdetto
In Parlamento si apre la partita per la nomina di 3 giudici mancanti
Stavolta ha prevalso la scelta «responsabile», più attenta ai conti dello Stato: la norma è incostituzionale, ma la sua cancellazione non ha effetti retroattivi. È la linea seguita a febbraio, con la decisione sulla Robin Tax, ma abbandonata a maggio, quando fu bocciato il blocco dell’indicizzazione delle pensioni. Buco di bilancio evitato, quindi, o quanto meno limitato nelle dimensioni. Era la speranza del governo, che per questo aveva messo in guardia la Consulta attraverso la previsione del deficit provocato da un’eventuale sentenza valida anche per il passato: 35 miliardi di euro.
Anche in questa occasione i giudici costituzionali si sono divisi: quasi due giorni di discussione, dopo lunghi confronti preliminari, sono il segno di una decisione sofferta, arrivata al termine di una contrapposizione fra tesi divergenti: chi riteneva che i diritti individuali — protetti e garantiti dalla Carta del 1948 — dovessero prevalere anche per ciò che riguarda il passato, contro chi invece ha sostenuto la necessità del bilanciamento con un diritto collettivo, quello dei conti dello Stato in ordine, anch’esso inserito nella Costituzione, sebbene solo di recente. Hanno vinto i fautori della seconda ipotesi, già applicata, quando — con a sentenza numero 10 del 2015 — i giudici della Consulta misero in guardia da pronunce che, attraverso effetti retroattivi, possono creare «uno squilibrio del bilancio dello Stato di entità tale da implicare la necessità di una manovra finanziaria aggiuntiva, anche per non venire meno al rispetto dei parametri cui l’Italia si è obbligata in sede di Unione europea e internazionale».
Di qui la decisione di bocciare la norma viziata da incostituzionalità «con decorrenza dalla pubblicazione della sentenza», e non anche per il passato. Una strada che il governo auspica sia stata imboccata definitivamente dalla Corte, anche per le scelte future destinate a incidere sui conti pubblici. Dopo la Robin Tax, le pensioni e il blocco delle contrattazioni, infatti, c’è un’altra vertenza che dev’essere decisa dal «giudice delle leggi» e che potrebbe gravare sulle casse dello Stato: i nuovi ricorsi contro la norma sul contributo di solidarietà «a scaglioni» sui vitalizi superiori a una certa soglia. Già nel 2013 la Consulta aveva stabilito l’illegittimità della legge varata dal governo Berlusconi e ritoccata da Monti; poi l’esecutivo di Enrico Letta l’ha reintrodotta parzialmente, ma subito sono cominciati a piovere i ricorsi, fondati pure sulla sentenza del 2013. Al palazzo della Consulta sono già arrivate sei ordinanze di rimessione per non manifesta infondatezza delle eccezioni di incostituzionalità avanzate da pensionati che considerano violati i propri diritti.
Sarà una nuova sfida destinata a pesare o meno (ed eventualmente in misura variabile) sul bilancio statale, e che la Corte dovrebbe affrontare in una nuova composizione: finalmente completa, con tre nuovi componenti eletti dal Parlamento. Attualmente i giudici in carica sono 13 su 15, ma fra un paio di settimane scenderanno a 12 per la scadenza del mandato di Paolo Napolitano. Toccherà al Parlamento in seduta comune scegliere i tre giudici: tutte nomine di derivazione politica, per le quali sarà indispensabile trovare accordi tra la maggioranza di governo e le opposizioni, vista la necessità di raggiungere il quorum dei tre quinti dell’assemblea. In questa chiave, prevedibile che il Pd guidato dal premier Matteo Renzi punti su figure che vadano a ingrossare lo schieramento dei giudici più «responsabili» e attenti alle ricadute economiche dei verdetti.
Decisione Quasi due giorni di discussione tra i giudici prima della decisione La scelta Esclusi gli effetti retroattivi che possono creare squilibri di bilancio