Basket indipendente un’isola in festa e il marchio di Meo
Independent basket. Un gran giorno. Indipendente e indipendentemente da chi alla fine ha vinto. In entrambi i casi, Sassari o Reggio, sarebbero state comunque infrante le catene che da 20 anni tengono prigioniero il nostro basket. Rivoluzione e innovazione. La Dinamo ha vinto tutto (Supercoppa, Coppa Italia, scudetto), uno sbarco trionfale in Continente. L’isola che non c’era, nell’albo d’oro della pallacanestro italiana, adesso c’è. Trascinandosi dietro un’intera regione. Dopo gli anni ormai lontani del Brill Cagliari, adesso la Dinamo è la squadra di tutta la Sardegna. Una compartecipazione tra settore pubblico (oltre al Banco di Sardegna anche la Regione Sardegna è tra gli sponsor) e privato, creata da Stefano Sàrdara, il presidente. Imprenditore vulcanico, Sàrdara ha creato un «sistema basket» molto integrato, improntato ad un profilo aziendale e al tempo stesso a grande pragmatismo: «L’elefante da solo non lo mangio, ma un pezzettino alla volta, con l’aiuto di molti...», disse all’inizio della sua avventura. Da allora è stata sempre e costante evoluzione. Naturalmente dietro al successo stanno anche altri uomini veri. Come il gm Federico Pasquini, quello che ama definirsi un «facilitatore», il custode dello spirito Dinamo, quello che sdrammatizza i momenti bui, «perché è un gioco, ma serio, però...», che sceglie i giocatori secondo categorie di affidabilità umana (mai visto americani di colore lottare con tanto accanimento) e si attribuisce il compito di «fare bene le cose semplici». Infine, o soprattutto, Meo Sacchetti, l’allenatore. MaraMeo a tutti i soloni del basket che storcono il naso al suo gioco naif, del corri e tira in libertà di invenzione. Avendo 6/7 atleti strepitosi con in più grandi dosi di talento individuale, tutti in possesso del pugno da ko, cosa doveva fare Sacchetti? Imprigionarli e depotenziarli in rigidi schemi? Il basket champagne, a volte, si sa, può anche dare alla testa, ma era l’unica scelta. Vincente.