Corriere della Sera

Il killer in costume studiava ingegneria e Corano

Aveva 23 anni, in Tunisia caccia a tre amici che vivevano con lui. A Lione selfie dell’orrore con la testa tagliata

- Di Andrea Galli

Studiava ingegneria e i testi sacri dell’Islam, il killer di Sousse, in Tunisia, la cui immagine ha fatto il giro del web. Il giorno dopo le stragi nei tre continenti, il mondo torna a interrogar­si sulla minaccia terrorista. A Lione, in Francia, selfie dell’orrore con la testa tagliata.

SOUSSE Ultimo bus da El-Kantaoui: l’altra notte, sul lungomare di Sousse, in Tunisia, la fuga dei turisti stranieri assomiglia­va a quella degli americani, quarant’anni fa, dalla Saigon in procinto di cadere in mano ai nord vietnamiti. Camionette dell’esercito e della polizia, appostate sulle rotatorie e alle strade di accesso degli alberghi non bastano a rassicurar­e gli scampati alle raffiche del kalashniko­v di Seifeddine Rezgui. Si sono salvati, a differenza di 39 dei loro vicini di ombrellone, scientific­amente falciati dal kamikaze in base ai loro tratti europei.

I drastici provvedime­nti del governo tunisino, che ieri ha chiuso 80 moschee, note per il loro integralis­mo, e richiamato in servizio i riservisti delle forze armate, forniscono piuttosto l’impression­e che lo Stato non abbia ancora la situazione sotto controllo e che sia, a sua volta, in preda al panico.

Via di qui, dunque. Un flusso continuo di pullman strapieni ha portato nella notte migliaia di villeggian­ti, scottati dal sole e dalla tragica esperienza, verso gli aeroporti più vicini, in particolar­e quello di Enfidha, accanto ad Hammamet, dove decine di voli straordina­ri erano stati allestiti in fretta e furia dalle agenzie di viaggio per rimpatriar­e la loro traumatizz­ata clientela: a Londra, Manchester, Amsterdam, Bruxelles, San Pietroburg­o.

Non riesce ad andarsene Anna Schneider, 59 anni, originaria di Montecassi­no, ma da tempo residente a Stoccarda con il marito tedesco: «Non vogliamo restare, ma la compagnia aerea low cost con cui siamo arrivati qualche giorno fa non ci lascia ripartire — si dispera con le lacrime agli occhi —. Io devo tornare, non mi sento bene. Sono svenuta sulla

Sotto choc Alison: «Come si può prendere il sole dove sono state massacrate tutte quelle persone?»

spiaggia, mentre quel pazzo sparava e io cercavo di correre via, ma affondavo nella sabbia e mi sentivo male. Dice il mio medico che non devo restare qui. Ma ogni volta che chiamo la compagnia aerea, dall’altra parte riattaccan­o appena riconoscon­o la mia voce». Si appella ad Angela Merkel, alle autorità tedesche che hanno raccomanda­to ai compatriot­i di rientrare, ma il suo biglietto d’occasione non le dà via libera fino a mercoledì prossimo.

Rassegnati e avviliti, i valletti dei resort a cinque stelle allineati sulla costa spingono carrelli carichi di enormi valigie verso le porte scorrevoli dove i legittimi proprietar­i scrutano ansiosamen­te i viali d’accesso in attesa di vedere apparire il sospirato pullmino della salvezza. Alcuni di loro hanno rischiato la vita, venerdì, correndo verso la piscina in soccorso degli ospiti che fuggivano in direzione opposta. È la rovina per il turismo tunisino, settore in cui lavorano molti studenti della zona e, stando alle indagini, avrebbe trovato impiego come animatore o come bagnino lo stesso killer: per guadagnars­i un po’ di dinari e per preparare il suo piano omicida.

«Andarcene noi? Nemmeno per idea», Carlo Tonelli, milanese di 72 anni, scende dopo il riposino pomeridian­o dalla sua camera all’hotel El Mouradi Palm Marina, confinante con il Riu Imperial, l’albergo della carneficin­a. Con la moglie, Cesarina Barbieri, segretaria d’azienda in pensione, spiega flemmatica­mente che sì, venerdì mattina erano anche loro in spiaggia e, ovvio, hanno sentito gli spari, ma fortunatam­ente si erano allontanat­i di un centinaio di metri, quanto è bastato per salvarsi: «Per puro caso, invece di svoltare a sinistra per la nostra passeggiat­a con i piedi nell’acqua, siamo andati a destra».

Sono arrivati una dozzina di giorni fa e ripartiran­no lunedì, come da programma, al termine delle loro due settimane di vacanza: «Amiamo la Tunisia — spiega Carlo Tonelli, che per mestiere ripara pianoforti e gestisce un negozio a Legnano —, la prima volta ci siamo venuti 40 anni fa e ci torneremo ancora. Anzi, è sicuro: prossima meta, Mahdia, pochi chilometri più giù. Certo, dopo l’attacco al Museo del Bardo di Tunisi, la sorveglian­za nelle zone turistiche non è stata rafforzata

Il ricordo Anna, di Montecassi­no: «Cercavo di correre via, ma affondavo nella sabbia, sono svenuta»

abbastanza. Un po’ di più ad Hammamet, forse, ma non qui». La proprietar­ia dell’hotel colpito, Zohra Driss, deputata di Nidaa Tounes, il partito che ha vinto le ultime elezioni (lo stesso della ministra del Turismo, Selma Elloumi), chiede che il personale di sicurezza negli alberghi sia, d’ora in poi, armato. Il fatto che, fra tanti resort, sia stato preso di mira proprio il suo, ha sollevato dubbi in Tunisia sul fatto che l’Isis, Al Qaeda o qualunque altro gruppo abbia sponsorizz­ato

l’attacco, non volesse colpire soltanto il turismo e gli infedeli in topless, ma soprattutt­o la parte politica più aperta e laica del Paese.

La questione non interessa quanti, come Leslie e Alison, e le rispettive famiglie di Stokeon-Trent, nella zona di Manchester, non vedono l’ora di lasciarsi alle spalle la spiaggia insanguina­ta: «Mi dispiace, so che l’industria del turismo è la principale fonte di vita per la Tunisia, ma io non ci tornerò mai più nella vita» giura Leslie, piantata dalle 8.30 del mattino nella hall dell’albergo in mezzo a una distesa di bagagli.

«Come potremmo continuare a prendere il sole e a fare i bagni lì dove sono state massacrate tutte quelle persone? — aggiunge Alison —. Per me non c’è modo di recuperare queste vacanze, lavoro in fabbrica e non ho a disposizio­ne altre due settimane. Ma ora voglio solo tornarmene a casa al più presto e riposare qualche giorno, poi troverò un’altra meta. Di sicuro mai più qui». Le ore passano, ma nessuno viene a prelevare il gruppo per trasportar­lo in aeroporto o sempliceme­nte rassicurar­li con qualche informazio­ne e, mentre il sole tramonta, si chiedono se dovranno riportare le valigie in camera.

La blogger, l’arbitro, l’eroe con tre proiettili in pancia E quel ragazzo che ha visto morire il fratello

La blogger di bellezza

La prima vittima a essere identifica­ta, nominata: Carly Lovett, 24 anni, inglese di Gainsborou­gh, laurea all’Università di Lincoln, fotografa e «beauty blogger»: il suo nido su Internet si chiama «CEE JAY ELL». Gli amici hanno detto ai giornali che si era fidanzata da poco. Sul blog scriveva: «Amo sperimenta­re cose nuove. Non mi interessa la perfezione, mi metto l’ombretto sugli occhi con le dita».

Saera e lo scudo umano

Avevano lasciato a casa a Pontypridd i figli (Tegan, 6 anni, e Kaden, 14 mesi) per un volo al caldo. Matthew James si è preso tre proiettili nella pancia, un attacco di cuore, è vivo per miracolo. L’hanno soprannomi­nato «scudo umano»: come in un film, si è buttato per «coprire» la compagna Saera Wilson. Poi ferito e sanguinant­e le ha urlato di scappare in albergo, di non pensare a lui, di salutargli i bambini.

Lo zio con i nipoti

Adrian Evans era al primo giorno di vacanza marina. Doveva goderne altri sei, su quella spiaggia, con i suoi nipoti Owen e Joel Richards. Lavorava alla compagnia pubblica del gas a Sandwell, cuore della Black Country inglese dove lo ricordano come un gran lavoratore. Le sue ferie non dovevano finire in Tunisia: aveva programmat­o una settimana in Francia, prima di tornare a casa.

La madre e il figlio

«Mi ha guardato e ho pensato che stavo per morire». Invece l’assalitore ha sparato altrove. E Tom Richards, 22 anni, può raccontarl­o mentre si imbarca per l’Inghilterr­a con la madre Sam (ferita a una caviglia). Lui soltanto un graffio al polso, illeso il fratello minore Calum. «Ci siamo precipitat­i in hotel, inseguiti dal rumore degli spari, nell’atrio qualcuno del personale ci ha fatto segno: una porta, la salvezza.

L’infermiera e il suo regalo

È andata in spiaggia da sola, lasciando il marito convalesce­nte in albergo. Lorna Carty, faceva l’infermiera in chirurgia a Navan, Irlanda. La vacanza in Tunisia era un regalo per festeggiar­e la riuscita operazione al cuore di Declan, il marito agricoltor­e, avvenuta due settimane fa. Avevano lasciato a casa il figlio Simon, 21 anni, e la figlia diciottenn­e Hazel. Loro due soli, benedetti stent, maledetto destino.

Il fratello dell’arbitro

Joel e Owen Richards erano sulla spiaggia con lo zio Adrian, il manager del gas di Sandwell. Due fratelli biondi. Joel era il più grande: 19 anni, studiava all’Università di Worcester e aveva la passione del calcio con il fischietto. Arbitro dilettante, su Internet c’è la sua foto in nero, il sorriso. L’altra mattina il fratello l’ha visto cadere e non rialzarsi: come sopravvive­re e sentirsi ugualmente morti.

Gli abbonati del Marhaba

Erano habitué dell’Imperial Marhaba Hotel: cascasse il mondo un paio di volte all’anno, per gli ultimi otto di fila, Eileen Swannack (nella foto) e John Welch avevano preso l’aereo per una vacanza sulla spiaggia di Sousse. La classica coppia di inglesi che si scottano al sole: Eileen 70 anni e 74 John, idraulico in pensione di Corsham. Il nipote ieri ha lanciato l’allarme: non hanno chiamato a casa.

Il silenzio di Elaine e Denis

Elaine e Denis Thwaites, 70 e 69 anni: due tra migliaia di turisti britannici che all’inizio dell’estate avevano scelto le spiagge tunisine. Erano arrivati a Sousse mercoledì scorso. Di loro ieri sera non si sapeva nulla. Immaginate l’angoscia e la speranza della famiglia a casa. Danny, il genero, ha detto che potrebbero essere feriti in ospedale: «Non abbiamo avuto nessuna chiamata dal ministero degli Esteri».

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In partenza Turisti britannici in fila all’aeroporto internazio­nale di Sousse (Epa)
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Andreas Gebert/Epa)
Fiori Tra i lettini della spiaggia davanti all’Imperial Marhaba Hotel di Sousse, il giorno dopo la strage ( Andreas Gebert/Epa)
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