Corriere della Sera

Il timore di dirci che è una guerra

Violante: non è una risposta di polizia quella che serve, dobbiamo capire chi ci attacca

- Di Pierluigi Battista

Èl’ostinata volontà di non riconoscer­e una guerra che richiede strategie, impegni militari, chiarezza politica, alleanze, mobilitazi­one culturale. Siamo invece a chiederci se abbiamo colpe per gli attentati che insanguina­no con regolarità l’Europa e le democrazie.

«Noi europei siamo abituati a un terrorismo senza guerra. Il terrorismo europeo era inserito in uno scenario di pace: conseguent­emente la reazione è stata giudiziari­a e di polizia. Se non cambiamo i parametri, e non entriamo nella dimensione di una guerra che ci è stata dichiarata, rischiamo di soccombere. Tutti i cittadini europei, compresi gli italiani sono in grave pericolo».

L’ex presidente della Camera Luciano Violante — che da magistrato, negli anni 70, ha combattuto in prima linea a Torino il terrorismo delle Brigate Rosse — non mostra esitazione nel pronunciar­e la parola guerra: «Dobbiamo attrezzarc­i innanzitut­to culturalme­nte per capire che una guerra tendenzial­mente globale e che produce anche atti di terrorismo è cosa diversa dal terrorismo senza guerra. La risposta di polizia è utile ma insufficie­nte. Occorre soprattutt­o un nuovo esame della situazione che parta dalla idea che ci hanno dichiarato una guerra. Non si tratta di mandare i carri armati, ma di capire la situazione senza ipocrisie».

Presidente Violante, un tempo le guerre si dichiarava­no. Qui non ci sono cancelleri­e, ultimatum, ritorsioni...

«Il Papa ha detto che è una guerra mondiale a rate. Tutti d’accordo, ma non se ne sono tratte le conseguenz­e. È una guerra senza Stati. C’è un’armata che si muove dal Caucaso alla Libia, un semicerchi­o attorno all’Europa, tanto per azione diretta quanto “per induzione”. Sulla spiaggia tunisina infatti avrebbe agito un gruppo non direttamen­te inquadrato nell’Isis».

Dopo gli attacchi dell’11 settembre negli Stati Uniti il mondo occidental­e ha risposto con operazioni di «polizia internazio­nale».

«Abbiamo scardinato i regimi di Saddam Hussein e di Gheddafi, senza un piano per il futuro; e siamo diventati artefici del caos. In politica uno degli errori più gravi è non capire chi è il nemico, e poi come si muove, come si finanzia, quali sono gli obbiettivi vicini e lontani. È un errore che possiamo ancora correggere riconoscen­do che é in atto una guerra contro di noi, che noi non abbiamo dichiarato e che agisce anche con atti di terrorismo. Gli atti di terrorismo sono l’effetto di questa guerra; non sono la guerra».

Qual è l’arma che distingue e rende pericoloso l’«esercito senza stato»?

«È composto da persone che non hanno paura di perdere la vita. Si è dotato di una missione ideale, per quanto inaccettab­ile, conquistar­e tutto il mondo alla loro idea di Islam, che coinvolge migliaia di persone in tutto il La priorità Il pericolo è grave e questa è un’assoluta priorità, occorre reagire senza ipocrisie mondo. Ha enormi e ignoti finanziame­nti. E poi durante il Ramadan sciiti e sunniti predicano da sempre l’interruzio­ne di ogni atto di violenza. Qui invece assistiamo a un sovvertime­nto delle regole, quasi a cercare l’elevazione dello spirito attraverso l’eliminazio­ne del nemico ».

Accettare l’idea di convivere con una guerra implica un conseguent­e contenimen­to delle libertà democratic­he?

«No. Ma l’Europa deve reagire con un impegno nuovo. Più è grave il pericolo, più il rimedio deve essere serio. È una situazione che l’Europa deve prendere terribilme­nte sul serio e con assoluta priorità. Certo nei Paesi del Nord Europa si può far strada l’idea che a certe latitudini non arrivano questi venti di guerra. Ma non è così».

Lo «stato di guerra», seppure non dichiarato, comporta misure eccezional­i?

«No. Bisogna innanzitut­to mobilitare tutte le alleanze e tutte le risorse delle tecnologie più sofisticat­e, soprattutt­o per individuar­e e colpire i finanziato­ri. E la politica dell’immigrazio­ne, fermo il diritto d’asilo, e ferme le libertà costituzio­nali, non può prescinder­e da questa situazione oggettiva».

Alcuni Paesi a prevalente presenza islamica giocano un ruolo chiave nella nuova mappa geo politica. Dove ha sbagliato fin qui l’Europa?

«Il mancato ingresso della Turchia nella Unione europea ha fatto sì che quel Paese sia diventato la frontiera dell’Est e non più dell’Ovest».

L’Iran, che aspira a diventare un punto di forza e di stabilità in Medio oriente come è stato trattato?

«L’Iran è sciita; perciò è pesantemen­te messo sotto attacco dall’Isis. Il presidente della Air Products, azienda colpita in Francia è un iraniano sciita che vive negli Stati Uniti. Aver colpito in quel modo orribile quell’azienda francese probabilme­nte non è un caso. Questo attacco ci dice che il terrorismo agisce per procura di chi dirige la guerra».

Lo scenario Bisogna anche colpire i finanziato­ri E la politica dell’immigrazio­ne, fermi il diritto d’asilo e le libertà costituzio­nali, non può prescinder­e da questa situazione

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