Draghi oggi in campo: uno scudo per l’euro Merkel prepara la fase 2
BERLINO Angela Merkel non ce l’ha fatta a evitare una delle più drammatiche crisi nella storia dell’Unione europea. Senza spazi politici per accomodare alcune richieste del governo greco, sia interni sia esteri, la cancelliera non è riuscita a esercitare quella leadership che in altre occasioni l’ha portata a far prevalere il suo punto di vista. Ieri, a Berlino, correvano sì preoccupazione, dopo l’annuncio di referendum fatto da Alexis Tsipras, ma anche un senso di sollievo.
«Frau Merkel, però, ha ora di fronte due crisi, una di breve periodo e una di lungo periodo», diceva un deputato cristiano-democratico. Le dovrà affrontare, come le è già capitato, soprattutto in combinazione con Mario Draghi.
La crisi di breve periodo, da ieri a domenica prossima, giorno del referendum greco, sarà in gran parte gestita dai ministri delle Finanze, dalla Banca centrale europea e dal Fondo monetario internazionale. In particolare, le decisioni della Bce di Draghi sul finanziamento alle banche greche - se continuarlo oppure no - saranno determinanti nelle prossime ore, quando i cittadini greci cercheranno di ritirare denaro in banca: già oggi è prevista una riunione del Consiglio dei governatori. Della campagna referendaria ellenica, però, anche la signora Merkel sarà per molti versi protagonista, con il cappello di chi ha tentato fino all’ultimo una mediazione oppure con la divisa nazista con la quale ad Atene la hanno già immaginata in passato: è il volto più identificabile dell’Eurozona e della sua crisi.
Il gran lavoro, però, sarà quello da dedicare al lungo periodo: in qualsiasi modo vada il referendum, l’area euro e l’intera Europa rimarranno con ferite aperte per lungo tempo. Non solo recriminazioni, accuse, dubbi sulla sincerità e l’affidabilità dei partner: soprattutto, il rischio della perdita di senso del progetto, in un’Eurozona dall’immagine più arcigna di quel che è la realtà.
Da quello che si capisce in queste ore convulse, la cancelliera e il suo ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble avrebbero in mente di agire su due fronti. Il primo riguarda la Grecia: non si può lasciarla andare, qualsiasi cosa voti; anche se decidesse di abbandonare l’euro. A seconda di come andrà il referendum, dunque, si tratterà di riprendere subito un programma di aiuti, che sarà la continuazione (adattata alla nuova situazione) dei programmi degli anni scorsi se il Paese resterà nella moneta unica; che invece si concentrerà sull’evitare l’uscita di Atene anche dalla Ue se domenica i greci respingessero l’euro. Anche in questo secondo caso, un programma di aiuti sociali non sarebbe da escludere, si dice a Berlino. La decisione, ieri, dei ministri delle Finanze di non concedere alla Grecia un allungamento del programma che scade il 30 giugno può essere vista come una reazione irritata e troppo dura.
Resta però il fatto che mantenere Atene legata all’Europa non è solo un obiettivo geopolitico, per non farla avvicinare alla Russia: è anche una necessità per non fare dell’Europa un mostro che divora i propri figli, per quante responsabilità questi abbiano. «Faremo tutto il possibile per aiutare la Grecia in una situazione difficile», ha detto ieri Schäuble.
Il secondo fronte sarà il tentativo di dare più unità e più forza all’Eurozona, sulla base di nuove regole che riguardano il coordinamento di bilancio tra Paesi membri e una sempre maggiore centralizzazione delle politiche di riforma strutturale. Come suggerito dal «Rapporto dei 5 presidenti» appena presentato al Consiglio europeo, del cui testo Draghi è stato probabilmente il principale ispiratore. L’obiettivo sarà chiarire, di fronte all’opinione pubblica e ai mercati finanziari, che quello che è successo in Grecia è e resterà un caso unico, che gli altri 18 Paesi dell’euro vanno in direzione opposta. E mettere in essere nuovi passi per rafforzare l’architettura che sottostà alla moneta unica. Imprese di notevole difficoltà: se la direzione istituzionale per farlo è abbastanza chiara, sul piano politico gli ostacoli sono formidabili, sia per lo scetticismo crescente delle opinioni pubbliche nei confronti dell’Europa, sia per le divisioni su linee nazionali e politiche tra i governi. Ostacoli ancora più alti di fronte al precipitare del caso greco.
Ieri, il vice-cancelliere tedesco Sigmar Gabriel (socialdemocratico) ha sostenuto che il referendum indetto da Tsipras «potrebbe avere un senso», se formulato in termini chiari. Nonostante sia un abbandono di responsabilità da parte del governo di Atene, potrebbe rivelarsi un elemento di chiarezza, che toglie dal tavolo la teoria dei giochi negoziali tra Grecia e creditori che dura da cinque mesi e fa male soprattutto all’economia ellenica. Visto da Berlino, l’end game iniziato ieri potrebbe essere l’apertura di una fase nuova. Sarà complicata.
La necessità Mantenere Atene legata all’Europa per non farla avvicinare troppo alla Russia