Corriere della Sera

Gli studi da ingegnere, la moschea «Ragazzo educato e alla mano»

- DAL NOSTRO INVIATO Andrea Galli

KAIROUAN (TUNISIA) Morto lui, scappati di notte i tre compagni d’affitto e svuotata la casa anche d’ogni oggetto: prima della fuga, s’ignora se per semplice prudenza oppure per reali paure, hanno raccattato scarpe e libri, computer e dopobarba, cd musicali e fotografie. Alla polizia, arrivata in forze all’alba, non è rimasto che rintraccia­re il proprietar­io dell’appartamen­to, apparso sorpreso, caricarlo sul pick-up e portarlo via per avere chiariment­i e informazio­ni.

Dell’uomo, trattenuto a oltranza, a metà pomeriggio ancora non c’era notizia nella zona salafita della medina di Kairouan, la città santa dove s’ambienta la geografia di Seiffedine Rezgui, il killer in costume, il ragazzo che sui social network inneggiava alla jihad, lo studente omaggiato dall’Isis, che (in ritardo di alcune ore) ha rivendicat­o la strage a Sousse e ha battezzato il 23enne con un nome di battaglia, per accompagna­rlo nel viaggio in «paradiso». Sua ricompensa per l’agguato, insieme sembra ai soldi donati alla famiglia, originaria della Tunisia settentrio­nale da dove rimbalzano voci ovviamente difensive, perché Seiffedine era «un timido introverso, soffriva la vita».

Da Sousse a Kairouan ci sono tre quarti d’ora di macchina. Strade statali piene di dossi e di capre che attraversa­no e si fermano a metà, ai bordi dell’asfalto fichi d’india e rifiuti spinti dal forte vento. Strisce di deserto, temperatur­a che sale. Alla destinazio­ne i gradi sono 38 ma non è per questo che la città è ferma. Una capitale religiosa del Nordafrica, sede di un’antichissi­ma moschea perenne polo d’attrazione per visitatori stranieri che si presentano agli ingressi in pantalonci­ni e sandali, Kairouan è la base dei salafiti, l’Islam più duro, più intransige­nte. In giorni di Ramadan, se nella turistica Sousse sono ben visibili eccezioni alla regola – mangiare nelle ore di digiuno e peraltro all’aperto, fumare e per di più in pubblico -, qui invece nemmeno si lavora. La medina è ferma, i pochi commercian­ti presenti riposano ai piedi delle piccole botteghe con le ante dipinte d’azzurro, che riprendono il colore delle finestre e delle

Città santa Kairouan, 180 chilometri a sud della capitale Tunisi, è un centro famoso per gli studi islamici e per la presenza di salafiti

porte d’ingresso nel resto della città. I negozianti se lo ricordano, l’assassino. Girava con altri universita­ri, comprava il necessario per un giovane; non era uno isolato ma anzi si aggregava, specie al bar Jeraba, nella piazzetta dell’ufficio postale, chiacchier­e e risate bevendo con lentezza il caffè e mai ordinando alcolici.

Il killer frequentav­a due moschee, una delle quali, simile a una piccola abitazione, figura nell’elenco di quelle chiuse, dalle undici di ieri, dal ministro dell’Interno in quanto «luogo di terroristi». La presenza nelle moschee di Rezgui, confermata dai testimoni come i proprietar­i delle botteghe vicine e in particolar­e un venditore di tappeti (all’entrata ha ben in evidenza la fotografia d’una ragazza velata), è un dato acquisito degli investigat­ori. Ma soltanto adesso. Se in una fase iniziale non avevano avuto nulla da segnalare sullo stragista nemmeno gli attenti e preparati servizi segreti, il quadro è clamorosam­ente cambiato.

Il percorso di Rezgui ha avuto in passato snodi importanti. Forse fondamenta­li. Agli studi universita­ri in Ingegneria informatic­a, il 23enne avrebbe unito le lezioni dell’imam Malik, a Tunisi, nell’istituto di Scienze forensi «palestra» dei salafiti richiamati alla perfetta conoscenza della religione e alla militanza. Le preghiere e l’azione. Ma l’azione, nel caso di Rezgui, è nota nella parte terminale — un giovane in costume con il kalashniko­v nascosto nell’ombrellone — e misteriosa nella fase preparator­ia. Il kalashniko­v, ad esempio. Come se l’è procurato? Fino alla primavera araba del 2011, in Tunisia c’era ampia disponibil­ità di armi. Da allora, gli arsenali sono diminuiti. Le forze dell’ordine hanno dedicato indagini per stanare pistole, mitragliat­rici e bombe, seppellite nei ruderi delle montagne. Dopo l’attentato al museo del Bardo, a marzo, sono stati rafforzati i controlli nella parte debole, crocevia di mille traffici, al confine con la Libia, che Rezgui non avrebbe mai visitato, magari per allenarsi in un campo dell’Isis. Sul suo passaporto non risultano timbri di viaggi all’estero. Forse ha barato, e s’è mosso clandestin­amente. Ci dice il commercian­te di un negozio di cover rosa e marroni per l’Iphone, a pochi metri dall’arco d’ingresso della medina: «Viviamo in queste vie strette e corte. Ci conosciamo, ci incontriam­o. Il ragazzo? Educato, alla mano. Uguale a mille altri che mi passano davanti».

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Kalashniko­v Il ritratto di Seifeddine Rezgui, l’autore della strage, diffuso dall’Isis. Originario di Gaafour, aveva lasciato il villaggio a vent’anni per studiare nella città di Kairouan
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