Corriere della Sera

A Kobane la strage degli innocenti (nel silenzio del mondo)

- Di Lorenzo Cremonesi

Parlare di «guerra», «conquista» o «ritirata» ha poco senso se riferito al recente attacco dell’Isis contro la città curda di Kobane. I termini militari non spiegano, semmai mascherano quella che è stata l’essenza di quest’operazione, che può essere riassunta in due parole: puro terrorismo. Il fine infatti era spaventare i civili, ucciderli in modo spietato, sparare contro tutti, specie bambini, donne, vecchi. Terrorizza­rli e spingerli a scappare oltre il confine, in Turchia. E di più: impaurire e demotivare i loro combattent­i, i volontari che vorrebbero aiutarli, lottare al loro fianco. Più volte dall’inizio dell’infiltrazi­one jihadista giovedì mattina a Kobane si è parlato di «sconfitta curda» e ancora oggi c’è chi dice che i curdi avrebbero «ripreso la città». In realtà, non l’avevano mai persa. Le prime linee curde sono una trentina di chilometri più avanti, le loro avanguardi­e ultimament­e hanno persino minacciato direttamen­te le strade di collegamen­to tra Raqqa, considerat­a la capitale di Isis in Siria, e il confine con la Turchia. I militanti dell’Isis invece si erano infiltrati travestend­osi con le uniformi delle milizie alleate ai curdi e per rendere più effettivo il loro blitz erano ricorsi alle tradiziona­li autobomba kamikaze. Ma va subito chiarito che il loro fine non era prendere la città. Sanno bene che dall’aria i caccia della coalizione guidata dagli americani avrebbero impedito qualsiasi azione del genere. Il loro obbiettivo era allo stesso tempo più semplice, ma anche più ambizioso: demotivare i curdi, soprattutt­o lanciare l’ennesimo messaggio di minacciosa, spietata violenza a tutti i loro avversari. Le testimonia­nze che arrivano da Kobane raccontano dell’accaniment­o dei jihadisti contro la gente nelle case, famiglie intere sterminate nella notte. Le ultime cifre segnalano oltre 210 morti. L’Isis ha ottenuto ciò che voleva. E il mondo ancora una volta assiste impotente.

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