Tra storia e Corano: quegli inviti alla lotta (e alla purezza)
Il mese sacro musulmano è il periodo in cui i credenti digiunano di giorno e si raccolgono di notte per recitazioni coraniche o una vita sociale che vuole sottolineare lo spirito comunitario. Purezza di intenti e bontà di azione valgono come digiuno e astensioni.
Le rivendicazioni dell’Isis hanno sottolineato il significato di attentati accaduti di venerdì e di Ramadan. Compiere un atto lodevole di venerdì o di Ramadan vale dieci, cento volte tanto e garantisce una via privilegiata verso il paradiso. Tutta la tradizione e soprattutto i detti del profeta Maometto sono pieni di dettagli in proposito. Il jihad, nei suoi molteplici significati, dall’approfondimento della fede personale al combattimento contro i nemici delle fede, è sempre atto meritevole e vale ancor di più se compiuto nel mese di Ramadan. La prima grande battaglia di Badr (624 d.C.) in cui i Meccani furono sconfitti dai musulmani guidati da Maometto accadde di Ramadan e molte altre tappe della storia musulmana raccontano di come il jihad realizzato nel mese sacro abbia valore ineguagliabile. La stretta connessione tra le due concezioni è sottolineata da quelle tradizioni che permettono al mujahid, ovvero a colui che compie il jihad, di interrompere il digiuno per non debilitarsi e quindi compromettere l’efficacia delle sue azioni.
L’immaginario elementare e distorto dell’Isis può contare sull’efficacia e anche la banalizzazione di concetti fondamentali presenti e ripetuti nelle tradizioni più antiche. Il martirio, il jihad e l’eccellenza del Ramadan si trovano uniti nella retorica che accompagna questi attentati, rivendicando una valenza simbolica che trova un facile riferimento nella storia islamica.