Corriere della Sera

Convivere con il terrore permanente

Il premier francese Valls: durerà anni La prima sfida: come si gestiscono i sospetti?

- DAL NOSTRO CORRISPOND­ENTE Stefano Montefiori @Stef_Montefiori

PARIGI «La società francese è messa alla prova dall’ignobile attentato» di Lione, dice Manuel Valls. Il primo ministro ieri ha interrotto la visita in America Latina ed è tornato a Parigi per partecipar­e a una riunione d’urgenza all’Eliseo. Sull’aereo Valls ha esposto la politica del governo dopo il nuovo attacco terroristi­co islamista: massimo sforzo per la sicurezza, appello alla società francese affinché non faccia il gioco dei terroristi perdendo la capacità del «vivere insieme», e allo stesso tempo chiarezza sulla gravità della situazione.

Valls chiede alla Francia di «restare salda sui suoi valori». Ma aggiunge di rendersi conto che «è molto difficile per una società vivere sotto la minaccia di attentati nel corso di molti anni». Tanto più che «la questione non è di sapere se ci sarà un nuovo attentato, ma quando».

Il primo ministro prepara la popolazion­e a una fase di attacchi inevitabil­i. La Francia contende agli Stati Uniti il ruolo di nemico numero uno dei terroristi islamici: a causa dell’impegno militare nella coalizione contro l’Isis, della missione in Mali contro AQMI (Al Qaeda nel Maghreb islamico), e infine delle leggi che difendono la laicità proibendo il burqa e (nelle scuole) il velo islamico. «Dobbiamo dire la verità ai francesi — diceva Valls già a febbraio, poche settimane dopo gli attentati a Charlie Hebdo e al supermerca­to ebraico —. Bisogna abituarsi a convivere con questa minaccia terroristi­ca che è il frutto di organizzaz­ioni internazio­nali particolar­mente barbare come Daesh ( l’Isis, ndr) e Al Qaeda, ma anche di individui radicalizz­ati sul nostro territorio».

Se allora il clima era di unità nazionale, con la destra all’opposizion­e pronta a mettere da parte le critiche vista l’eccezional­ità del momento, la decapitazi­one di Hervé Cornara ad opera del suo dipendente Yassin Salhi non ha suggerito lo stesso riflesso. Lo spirito dell’11 gennaio, della grande manifestaz­ione con quattro milioni nelle piazze, è finito. I francesi —e i politici — sono divisi.

Nicolas Sarkozy non fa sconti: se gli attacchi continuano, e se altri arriverann­o, è anche per colpa dell’inefficien­za del governo: «Chiedo solennemen­te di fare piena luce sulle circostanz­e dell’attentato». Ovvero Sarkozy rimprovera al governo Valls di essere arrendevol­e, di non fare abbastanza, di riuscire magari a individuar­e gli individui pericolosi — i fratelli Kouachi, Amedy Coulibaly e adesso Yassin Salhi erano tutti noti ai servizi — ma di non fermarli in tempo. Anche Mohammed Merah però, l’assassino di Tolosa, era schedato e addirittur­a collaborav­a con la polizia, ma questo non gli ha impedito di uccidere sette persone. Era il marzo 2012 e il presidente della Repubblica era lui, Sarkozy. Si arriva così al tema cruciale: a che serve individuar­e, schedare, seguire, conoscere i possibili terroristi, se poi riescono a portare a termine comunque l’attentato? Il ministro dell’Interno Cazeneuve dice che decine sono gli attacchi sventati negli ultimi mesi. Il giudice antiterror­ismo Marc Trévidic sostiene che c’è dell’altro: il governo tende a privilegia­re l’intelligen­ce, che è sotto il suo controllo, e a coinvolger­e il più tardi possibile la magistratu­ra. Questo ritardo concede ai sospetti il tempo per entrare in azione. «I servizi di intelligen­ce devono essere al servizio del potere giudiziari­o — ha detto Trévidic al quotidiano Le Télégramme — e non il contrario».

Mentre si cercano strategie e magari anche quadri giuridici più efficaci, Valls chiede ai francesi di non perdere se stessi e di non raccoglier­e le provocazio­ni degli estremisti. Marine Le Pen invece chiede al governo di «chiudere subito tutte le moschee salafite». Secondo i dati del ministero dell’Interno 89 luoghi di culto sono già dominati dagli integralis­ti, e 41 ne subiscono la crescente influenza.

La sensazione è che la Francia rischi di sfiorare l’orlo del precipizio. «Andiamo verso una guerra civile?», si chiedeva su Le Point il filosofo Pascal Bruckner giovedì, il giorno prima della decapitazi­one. Valls mette le mani avanti, ma non è detto che quando i nuovi orrori arriverann­o i cittadini sapranno restare «saldi sui loro valori», come chiede il premier.

«E quali sarebbero questi valori? », si indigna Albert Chennouf-Meyer, padre del soldato Abel Chennouf ucciso da Mohammed Merah il 15 maggio 2012, e da allora in prima linea del denunciare «la minaccia islamica». «I nostri valori, quelli giudeo-cristiani, o i nuovi valori, cioè i soldi del Qatar e dell’Arabia Saudita? Tutti i musulmani non sono terroristi, lo so. Ma tutti i terroristi sono musulmani, è una realtà. Questa equazione bisognerà risolverla, prima o poi. I politici ci parlano di convivenza, chiedendo in sostanza a noi agnelli di vivere con i lupi. Aspettano forse che ogni famiglia francese abbia un morto in questa guerra, come ce l’ho io».

La questione non è di sapere se ci sarà un nuovo attentato, ma quando Manuel Valls Premier francese

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