Lacrime, sermoni (e stonature): la svolta sentimentale di Obama
Serie di vittorie per il presidente: su sanità, gay, razzismo prepara la sua eredità
Il dolore e la rabbia repressa dopo il massacro nella chiesa di Charleston. Le lacrime per la scomparsa di Beau Biden, il figlio del vicepresidente, amatissimo anche dagli Obama. Sbigottito e umiliato quando i suoi compagni di partito l’hanno abbandonato in blocco in una battaglia decisiva della sua presidenza, quella per i trattati di libero scambio con l’Asia e l’Europa. Poi, in pochi giorni, una serie di rivincite: la Corte Suprema che ha reso vani i tentativi repubblicani di mandare a picco la sua riforma sanitaria, la legalizzazione dei matrimoni gay in tutti gli Stati americani, la svolta de Congresso che ha concesso al presidente il potere, prima negato, di siglare trattati commerciali.
Eventi che Obama ha accolto con gioia sincera, commozione, gratitudine. Fino alla cerimonia di venerdì a Charleston. Non solo la novità assoluta di un presidente-pastore che intona nella sorpresa generale un canto religioso, «Amazing grace», con voce vibrante, nonostante qualche stonatura: nel celebrare nel suo elogio funebre il sacrifico di Clementa Pinckney e di altri otto membri della sua congregazione, Barack Obama trasforma, grazie alla straordinaria reazione della comunità nera del South Carolina, un atto di terrorismo razzista concepito per innescare una guerra tra gruppi etnici, in un’occasione di riconciliazione.
I collaboratori del presidente — quelli attuali e quelli che l’hanno servito in passato alla Casa Bianca — sono concordi nel definire questi ultimi giorni di giugno come i più importanti della sua presidenza. Diritti civili, sanità, «free trade»: in breve tempo Obama è riuscito a piantare tre pilastri fondamentali della sua « legacy » , l’eredità politica che lascerà Il canto Il presidente Usa Barack Obama, ieri, mentre intona «Amazing Grace» a Charleston agli americani. Siamo sempre molto lontani dai risultati sperati nel 2008, ai tempi della sua prima elezione avvenuta sulle ali della promessa di cambiamenti profondi. Ma siamo anche lontani dall’Obama che un anno e mezzo fa, dopo uno scoraggiante inizio del suo secondo mandato, confessava a David Remnick di sentirsi come il «nuotatore di una staffetta che solca un fiume pieno di rapide e quel fiume è la nostra storia», come lo stesso direttore del New Yorker ha ricordato ieri.
Alcuni (Remnick compreso) pensano che la riscossa continuerà. Difficile che il presidente, nel suo crepuscolo da «anatra zoppa», possa andare oltre alcuni atti simbolici, con un Congresso sempre ostile. Difficile anche, dopo molti rovesci, recuperare terreno in politica estera, anche se Obama ora potrebbe incassare il sospirato accordo nucleare con l’Iran, oltre al disgelo con Cuba.
Eppure la sindrome da fine mandato che ha depresso altri inquilini della Casa Bianca, sta avendo effetti tonificanti su Obama: il suo capitale politico si sta esaurendo, ma proprio per questo il presidente si sente più libero di dire quello che pensa, di mostrare le sue emozioni, senza più preoccuparsi troppo di mediare, di non offrire appigli agli attacchi dei repubblicani. Così il «commander-in-chief» che prende decisioni di vita e di morte (gli attacchi antiterrorismo coi droni) mostra dolore e rimorso davanti all’errore di valutazione che costa la vita a due ostaggi, Giovanni Lo Porto e Warren Weinstein. E il presidente spesso accusato di essere troppo cerebrale, professorale e distaccato, piange anche per il commiato di Eric Holder, al suo fianco per sei anni come ministro della Giustizia, parla con angoscia paterna delle figlie che presto se ne andranno a studiare lontano da casa, celebra la vittoria della battaglia sulla sanità raccontando con emozione la storia di una suora, Carol Keeehan, che sacrifica la sua vita per aiutare i pazienti.
La condizione dei neri non è certo migliorata sotto la presidenza Obama, ma dopo la tragedia di Charleston e le parole di ieri, c’è qualche possibilità in più che l’eterna «conversazione nazionale sulla razza», acquisti maggiore concretezza: un impegno a eliminare il razzismo sotterraneo che sopravvie in molte istituzioni e a ridurre le diseguaglianze non solo economiche ma anche scolastiche, occupazionali e quelle davanti alla Giustizia.