Il coro del Gay Pride: «Ora tocca a noi»
Gli organizzatori: a Milano siamo 150 mila. L’appello di Pisapia al Parlamento: dalle parole ai fatti
Alla fine il corteo diventa un unico « sì » : ai diritti, «perché non possiamo aspettare oltre», e a quel «matrimonio per tutti» che in Italia neanche è all’ordine del giorno, ma che per gli oltre centomila manifestanti (150 mila secondo gli organizzatori) del Pride milanese è invece presentissimo, dopo la sentenza che il giorno prima ha legalizzato le nozze gay negli Stati Uniti. Lo dicono i cartelli alzati del flash mob conclusivo, lo urlano gli organizzatori dal palco, lo ripetono le persone in strada.
C’era — a torto o a ragione — il senso marcato di un cambiamento in arrivo tra i manifestanti scesi in piazza ieri nel capoluogo lombardo in contemporanea a quelli di Palermo («ameno 50 mila» dice Arcigay), Torino (70 mila), Bologna (dove il sindaco Virginio Merola portava lo striscione di apertura), Perugia e Cagliari, per la terza puntata dell’orgoglio Lgbt, lesbico, gay, bisessuale e transgender, che segue ai 250 mila sfilati a Roma il 13 giugno e ai cortei di Verona, Pavia e Benevento del 6. Che qualcosa succederà presto sono convinti anche Renato e Giordano, 70 anni uno e 74 l’altro, pensionati di Sesto San Giovanni: «Stiamo insieme da mezzo secolo e in questi 50 anni per noi è cambiato tutto, tranne i diritti civili — dice Renato —. Spero che sia l’ultimo Pride senza: dopo quello che è successo in America siamo rimasti vergognosamente gli ultimi. Alla nostra età il pensiero non va non va molto lontano, e vorrei sapere che se muoio posso almeno lasciargli la pensione di reversibilità», dice indicando il compagno.
La speranza nelle generazioni più giovani diventa impazienza: «Devono decidersi ad approvare una legge, è inevitabile: i politici non possono
6 Le città italiane in cui si è svolto ieri il Gay Pride
continuare ad andare avanti così — dice Livia, 33 anni —. Anzi, più loro non fanno niente, più noi pretendiamo: adesso non ci bastano le unioni civili, vogliamo il matrimonio, come in Irlanda e negli Stati Uniti». E a rimarcare le sue richieste, nel corteo passano due «spose» con l’abito bianco.
Ci sono, come da tradizione, anche gruppetti di donne trans con pochissima stoffa addosso e nerboruti ragazzotti con gli addominali in vista. Ma è una sfilata molto pacata: i ballerini e le ballerine latinoamericani scorrono accanto ai gruppi degli studenti lgbt delle università milanesi, ci sono i giuristi di Rete Lenford e quelli di Certi Diritti, i genitori di Famiglie Arcobaleno con i loro figli di tutte le età, i dipendenti di Microsoft e Google con le rispettive magliette aziendali tutte uguali, preparate apposta per il Pride. Le «Chiese della Comunità metropolitana» sfilano tra uno sparuto gruppo di sostenitori del «poliamore» e un manipolo di maschioni rasati vestiti di pelle («crediamo che ciascuno di noi è sacro così com’è, anche nella propria sessualità» assicurano i credenti per nulla turbati) . Va alla grande anche il look alla Conchita Wurst (che da Vienna, fanno sapere gli organizzatori, ha dato la sua benedizione alla manifestazione): capelli lunghi e barba finta.
È il sindaco Giuliano Pisapia dal palco a dare voce a tutta la piazza: «Siete in ritardo, passate dalle parole ai fatti» dice rivolgendosi al Parlamento tra gli applausi crescenti. «Da qui arriva un urlo forte: per ora sarà un urlo di forza e comprensione, ma se entro quest’anno non servirà — avverte —, diventerà un urlo di ribellione e rabbia».