«Uno zibaldone ispirato allo spirito di contraddizione»
Nei miei scritti giovanili sulla democrazia usavo ancora le categorie di Immanuel Kant, per il quale i sistemi democratici non potevano esistere senza ideali, senza un «dover essere», intendendo un dover essere irrealizzabile, ma pur sempre alimento essenziale di una democrazia. Più tardi mi sono imbattuto in Isaiah Berlin e ne ho adottato le dizioni: «libertà negativa» e «libertà positiva». Ma nemmeno queste dizioni mi convincevano del tutto, perché la libertà positiva di Berlin sdoganava il «perfezionismo democratico» che avevo sempre combattuto, e il cui inevitabile esito ho sempre ritenuto fosse il fallimento. Così, nei miei scritti più recenti la mia dizione è diventata, da un lato, «democrazia e/o libertà protettiva» o «democrazia e/o libertà difensiva» e, dall’altro, «democrazia e/o libertà distributiva».
Dalla caduta dell’Impero romano d’Occidente nel 476, il suo territorio fu gestito, salvo alcune eccezioni, da vari aggregati di pretoriani. Successivamente, nell’Alto Medioevo, la nostra civiltà si racchiuse nei monasteri fortificati, nei quali tutto il potere era affidato al Superiore. Il Basso Medioevo, tra l’XI e il XV secolo, vide lo sviluppo delle città marinare, fermo restando che anche lì la politica era un dominio riservato.
Fino a quel momento si era sempre dato per scontato che il potere politico fosse interamente e senza alcun vincolo nelle mani dei re e del loro séguito di principi, duchi, marchesi e signorotti. Il sovrano poteva a suo piacimento imprigionare chi voleva. Insomma, la politica era soltanto forza: la forza di chi era o diventava il più forte. Gli Stati passavano di mano in mano con le guerre, con le alleanze tra i potenti del momento e con i matrimoni.
Il punto è, quindi, che solo da una manciata di secoli noi cittadini abbiamo uno Stato che non è semplicemente la forza del più forte. Quando è accaduto? Quando è iniziato lo Stato come lo conosciamo oggi? Direi dalla fine del Seicento con John Locke e ai primi dell’Ottocento con Benjamin Constant. In seguito vi furono le rivoluzioni del 1830, che ebbero come conseguenza gli statuti, le Carte che i vari sovrani furono costretti a concedere. E il testo che segna l’avvento e definisce la struttura dello Stato come noi oggi lo conosciamo fu De la Liberté des Anciens comparée à celle des Modernes, che contiene il celebre discorso pronunciato da Constant nel 1819, nel quale vengono contrapposti due diversi concetti di libertà: una praticata dagli antichi e l’altra presente nelle società moderne.
Insomma, la politica è stata la forza a discrezione del più potente, finché non è stata inventata
Con il solito approccio ironico, Giovanni Sartori definisce il suo nuovo libro La corsa verso il nulla (Mondadori) «uno zibaldone ispirato dal mio atavico spirito di contraddizione». In realtà questi dieci capitoli (del primo anticipiamo qui accanto una sintesi) sono certamente polemici, ma solo in apparenza disorganici, poiché rispecchiano con efficacia i temi più frequentati dal politologo fiorentino nella sua costante battaglia contro il dogmatismo, la superficialità non di rado interessata, gli stereotipi più o meno «progressisti». Sartori prende di mira la società dell’immagine e il mito della rivoluzione violenta, rilancia la sua antica proposta di una legge elettorale maggioritaria a doppio turno, invoca una politica più rigorosa in fatto d’immigrazione, spinge il suo anticlericalismo fino a chiedere che il Vaticano contribuisca a risanare i conti pubblici italiani. E non risparmia neppure l’icona intoccabile di papa Francesco. Tra i punti che più lo assillano spicca il problema islamico. Di fronte agli eventi di questi giorni, viene spontaneo convenire con Sartori sul fatto che quella condotta dai jihadisti è una vera e propria guerra, che bisogna affrontare di conseguenza. E altrettanto fondati appaiono i suo moniti circa la difficoltà di conciliare i principi democratici, che impongono la distinzione tra legge civile e comandamenti religiosi, con la vocazione teocratica che caratterizza il culto musulmano.
@A_Carioti
(2015). Mostra personale dal 30 luglio al 18 ottobre al Museum of Contemporary Art di Sydney (foto di Katri Lehtola)