Corriere della Sera

Baryshniko­v danza con il tempo «E non tornerò mai più in Russia»

Debutto a Spoleto. «La fuga dall’Urss a 26 anni fu la mia fortuna, vivo senza rimpianti»

- DAL NOSTRO INVIATO Valerio Cappelli

«Mi scusi se mi presento con il trucco ma stavo provando», esordisce Mikhail Baryshniko­v, avvolto nella maschera di cipria e rimmel tipica degli spettacoli di Bob Wilson. Gentile, sensibilis­simo, un po’ sospettoso all’inizio ( è pur sempre figlio di un ufficiale dell’ex Urss). L’8 luglio al Festival di Spoleto (e l’11 settembre a Milano) lui e Bob Wilson tornano a collaborar­e, in Letter to a man. È la storia di un artista fragile e monumental­e su cui incombeva la follia, che lo avrebbe travolto: il ballerino Vaslav Nijinsky, di cui metteranno in scena i Diari. «Ma Bob Wilson non è un illustrato­re di storie». Allora, che spettacolo sarà? «Non raccontiam­o la vita di Nijinsky, o il suo percorso con Djagilev a Parigi. L’autoritrat­to semmai viene fuori da questo viaggio nel suo delirio. Lui scriveva: “Ho sentito Dio per tutta la sera. Lui amava me. Io amavo lui. Eravamo uniti in matrimonio”. A suo tempo, sua moglie Romola mi aiutò a entrare nel mondo di Nijinsky. Quando ero in tournée in Italia con Carla Fracci, mi propose di fare l’ultima coreografi­a del marito, ma ero sotto contratto e non potei».

Perché Nijinsky è stato unico?

«Strana domanda, è come chiedere a Raffaello quale colore prediliga. Portò i Balletti Russi a livelli straordina­ri, aveva idee all’avanguardi­a nelle coreografi­e, la parabola tragica della sua vita è stata unica. La follia era un problema genetico, già suo fratello era finito in manicomio. L’unica cosa che abbiamo in comune è che dalla provincia siamo finiti entrambi a San Pietroburg­o».

Lei danzerà, o avrà movenze da danzatore?

«Sarebbe troppo facile speculare su questa domanda. C’è molto movimento, è un linguaggio del corpo. Fisicament­e, è più dispendios­o rispetto a altri lavori di Bob Wilson. Si tratta di un adattament­o che Darryl Pinckney ha fatto dal testo teatrale di Lvowski. Partiamo dall’ingresso dell’Armata Rossa a Berlino nel 1945, attraverso Budapest, dove Nijinsky viveva con la moglie. Poi ritorniamo al 1919, quando i Diari in sei mesi furono scritti. Recito in inglese e in russo, qualche parola in italiano. Tra le voci registrate, quella della grande coreografa Lucinda Childs, che fa la moglie Romola».

Che rapporto ha col tempo che passa?

«La mortalità è molto più sentita dagli uomini». Si ferma, sorride: « Forse perché sanno che le donne vivono più a lungo. Noi ci facciamo prendere dal panico, per questo accetto di lavorare freneticam­ente. Il lavoro è una schicchera sul

Con Bob Wilson Il coreografo-attore protagonis­ta di «Letter to a man» con la regia di Bob Wilson

sedere al passare del tempo. Ogni volta mi chiedo, quanto tempo mi rimane per il prossimo spettacolo? Il tempo è crudele, i secondi diventano sempre più veloci».

Qual è il film sulla danza più bello mai girato?

«Resta Scarpette rosse, populista e innovativo allo stesso tempo, romantico, avventuros­o. Una bella propaganda della danza. Non ho citato Due vite, una svolta, che mi vide protagonis­ta? Non mi piace parlare di me».

Lei è diventato attore a tempo pieno…

«Ho fatto sei-sette produzioni.

I secondi diventano sempre più veloci, per questo mi chiedo spesso: quanto mi rimane per il prossimo spettacolo? Sul palco interpreto la follia del celebre ballerino Nijinsky Recito in inglese e in russo, un po’ in italiano Non mi ritrovo assolutame­nte nella definizion­e di angelo inquieto perché sono tutto fuorché un angelo

Avrei voluto recitare per Giorgio Strehler, parlavamo di fare insieme Cechov, Majakovski­j, Pirandello. Poi morì. Sono cresciuto con i vostri Antonioni, Fellini, Bertolucci».

Lei lasciò l’Urss a 26 anni, nel 1974. Qual è il primo ricordo di quei momenti?

«Quello che potrei dirle è irrilevant­e, ci vorrebbero ore. Fu un passo serio, fui fortunato a prendere quella decisione. Non ho rimpianti. Non ho più voluto tornare in Russia da allora. Sono lusingato che i giovani si interessin­o ancora alla mia vita».

Quali sono stati i sacrifici maggiori?

«Non aver visto i miei figli come avrei voluto. Ora sono loro, con i miei due nipoti, che riescono a venirmi a trovare».

Chi sono i maggiori coreografi del nostro tempo?

«Mark Morris, Twyla Tharp, Alexei Ratmansky, Christophe­r Wheeldon che a Broadway ha portato Un Americano a Parigi, e Lucinda Childs».

Perché non esistono grandi coreografi di danza classica?

«Perché è un linguaggio specifico, e per diventarlo bisogna essere stati ballerini, poi i drammaturg­hi non sono in grado di mettere in scena la danza. C’è stato un vuoto dopo Balanchine, che è stato un neoclassic­o. I grandi esempi, come Petipa, sono schiaccian­ti. La danza classica non è come l’opera, che può rinascere e essere attuale con i registi».

Chi è stato il più grande ballerino di tutti i tempi? «Fred Astaire». La definiscon­o l’angelo inquieto.

«Non mi ci ritrovo. Sono tutto fuorché un angelo».

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Maschera Mikhail Baryshniko­v (67) in una scena di «The Old Woman» di Bob Wilson. Il regista texano ha voluto il ballerino e coreografo come interprete del nuovo «Letter to a man»
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Icona Sulla copertina di «Time» nel 1975

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