Venezia, il doppiaggio, Cinecittà: le battaglie del divo Giulio
Siintitola Andreotti. La politica del cinema il secondo «capitolo» — dopo Giulio Andreotti. Visto da vicino — che Tatti Sanguineti (con la collaborazione per le ricerche di Pier Luigi Raffaelli e per il montaggio di Germano Maccioni) ha tratto dalle 45 ore di interviste realizzate con il politico democristiano tra il 2002 e il 2003 e che sarà presentato in prima mondiale domani al festival «Il cinema ritrovato» di Bologna.
L’idea, che aveva mosso Sanguineti era quella di un viaggio tra cronaca e storia per esplorare il rapporto che legò il pupillo di De Gasperi con il cinema, quando nei primi sette anni della sua carriera governativa, tra il 1947 e il ’53, ebbe la delega allo spettacolo e diventò, per molti suoi nemici, lo spauracchio del cinema impegnato: «lei ha sgarrettato il cinema italiano» gli rinfacciò Zavattini.
È vero? Sanguineti cerca di andare oltre questa affermazione e se nel primo film (presentato l’anno scorso al Festival di Venezia) chiedeva ad Andreotti di spiegarsi su alcuni degli episodi censori più discussi, qui segue l’andamento cronologico del suo «settennato cinematografico» per capire la logica politica che stava dietro ai suoi interventi. Da quelli in prima persona (sul film delle Olimpiadi di Londra, dove gli operatori inglesi avevano «dimenticato» di documentare la partecipazione di un ex nemico come l’Italia) all’impegno per portare gli americani a girare nella rinata Cinecittà ( Quo Vadis, cui offrì nel 1952 anche i militari come comparse, «fece per l’Italia più del piano Marshall»), dall’attenzione alle politiche industriali (lo stabilimento Ferrania) alla difesa del festival di Venezia fino agli interventi legislativi per difendere la produzione nazionale (con la tassa sul doppiaggio).
Ma al di là dei singoli casi (e di episodi curiosi: Pampanini o Fabrizi usati come testimonial elettorali; la passione per le cascate del Niagara nata dal film di Hathaway con la Monroe), questo Andreotti.
La politica del cinema aiuta a capire soprattutto come il cinema fu — per il «divo Giulio» e non solo — un percorso privilegiato per dialogare con la società e la politica. Perché un film e le reazioni conseguenti svelano più di quel che si crede: per esempio Anni difficili di Zampa sul problema della continuità con il regime fascista o La grande guerra sugli equilibri tra corpi dello Stato o ancora La grande Olimpiade (sui giochi di Roma) sulle ambizioni di intervento urbanistico sulla Capitale.
Temi evidentemente non ancora del tutto elaborati se questo «doppio» Andreotti, prodotto da Roberto Cicutto per Istituto Luce – Cinecittà, non è ancora stato acquistato da nessuna televisione.