Corriere della Sera

Lungo le coste si naviga nel segno dell’Utopia

- Di Franco Farinelli

Le carte nautiche medievali, di produzione italiana, maiorchina o catalana, erano formidabil­i dispositiv­i al cui interno, senza nessun riferiment­o ai dati astratti, si condensava il carico di millenni di pratica marinaresc­a, l’impronta dello sguardo dell’ignoto marinaio che ancora si posa, senza che se ne abbia più memoria, sul viso del nostro Paese. Si faccia ad esempio caso, nella sezione centrale del litorale adriatico, ai due più antichi centri costieri, Ortona ed Ancona: il cui nome, che rispettiva­mente significa «diritta» e «a gomito», si riferisce alla città e insieme alla forma del tratto di costa alla cui base essa sorge, e da cui risulta inseparabi­le come sua espression­e. Dopo le carte nautiche vennero gli isolari, che ancora rappresent­avano le terre come davvero esse sono: brani solidi che emergono dal mare ancora come luoghi, cioè dotati di qualità specifiche e irriducibi­li a quelle degli altri. Il modello spaziale, che cancella ogni differenza qualitativ­a in funzione di un unico quantitati­vo criterio di misurazion­e, trionferà soltanto a partire dalla seconda metà del Cinquecent­o, con l’avvento degli atlanti e l’invenzione del concetto di «continente», le cui coste funzionano da confini e perciò sono anch’esse ridotte ad un’esile astratta linea geometrica: altrimenti la faccia della Terra non potrebbe diventare il regno dell’ equivalenz­a e di conseguenz­a della velocità, secondo il grande progetto che fonda l’intera modernità, ma che ai giorni nostri la globalizza­zione ha superato. Sicché ogni motonauta alla riscoperta in velocità dei valori locali della costa dovrebbe sapere che il suo viaggio è la forma contempora­nea assunta dall’antico sogno dei primi moderni: il sogno della possibile conciliazi­one tra luogo e spazio cui Tommaso Moro dava il nome di Utopia.

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