Corriere della Sera

Sacchetti, orgoglio e zero pregiudizi «Lo scudetto di un’intera regione»

«Ora conosceran­no meglio la Sardegna, prima nessuno voleva venire a giocare qui»

- DAL NOSTRO INVIATO Flavio Vanetti

È lo scudetto dell’imperfezio­ne: «Abbiamo cercato un’altra dimensione, rispetto al nostro gioco in velocità e in penetrazio­ne, ma non l’abbiamo trovata. Alla fine, per mascherare certi limiti, l’unica soluzione è stata migliorare la difesa». È anche lo scudetto dell’orgoglio («È una laurea e farà conoscere meglio la Sardegna: qui fino a poco tempo fa nessuno voleva venire a giocare»), ma è anche un titolo dalle radici insospetta­bilmente remote. Nella mattinata dopo il trionfo, Romeo Sacchetti, finalmente disteso dopo le settemarat­one-sette necessarie per piegare Reggio Emilia, lancia un ponte verso il passato suo e della famiglia, quest’ultima presente in campo e in tribuna a eccezione della figlia, «che ormai vive in Finlandia ma che idealmente è sempre con noi». Racconta Meo: «Nell’unica finale disputata da giocatore, con Varese, mi ruppi un ginocchio. Mio figlio Brian aveva quattro anni e mezzo. Disse: “Papà, lo scudetto lo vincerò io”. È stata mia moglie a ricordarmi l’episodio. Ah, sottolineo che questo titolo appartiene alla gente di un’intera regione, però ha anche un po’ di varesino e qualcosa del professor Guerrieri: è stato Dido, uno dei grandi allenatori che ho avuto, a trasmetter­mi l’amore per il basket».

A volte è il destino che fissa le storie e quella dei due Sacchetti, forse costretti a diventare campioni d’Italia assieme, è un capitolo a parte in questo triplete sardo ( ci sono pure la Coppa Italia e la Supercoppa) dopo il quale SuperMeo è equiparabi­le a Mourinho. «Io uguale a José? Sono tifoso del Milan, spero che mi accomunino ad Abbraccio Meo Sacchetti e il figlio Brian festeggian­o il titolo (LaPresse) quali è stata costruita l’ossatura della Dinamo. Secca passare per quelli che sfruttano al massimo certe norme, mentre gli avversari battuti sono quelli politicall­y correct dal momento che puntano sugli indigeni? Meo non le manda a dire: « Sembrava che fossimo la squadra di un altro Stato e quelli mezzi matti. Io dico invece che si fa un po’ con quello in cui si crede e un po’ con ciò che si ha: se Max Menetti avesse avuto Dyson a fianco di Cinciarini, avrebbe avuto il diavolo e l’acqua santa. La morale? Ogni gruppo è un compromess­o. Però noi abbiamo saputo giocare ad alto livello e siamo stati bravi a cogliere le occasioni».

Aggiunta-precisazio­ne: gli italiani ci sono pure a Sassari: «Sono non i primattori, ma i collanti dell’organico. Giocano quando serve e vale pure per Brian, che non protesta a differenza di sua madre». Ecco spiegata la gestione di un gruppo non facile. «Quasi nessun americano accetta consigli che potrebbero migliorarl­o. D’altra parte, io non imbriglio chi ha talento. La chiave è stata far sentire tutti importanti, perfino negli errori». E ora la ripartenza, con inevitabil­i addii ma con un’Eurolega da rivivere non più da debuttanti. Tuttavia prima ci sarà qualcosa da ricucire proprio a Sassari. Varese stava per riprenders­i il suo Sacchetti («Siamo stati molto vicini»), a causa di recenti screzi con la dirigenza. Mai temuto che il giocattolo si rompesse? «No. Sono qui da sei stagioni e da sei stagioni sono criticato: succederà pure nel futuro. Forse all’inizio ci soffrivo, ora non più. Ho un contratto: se il presidente decide di mandarmi via, come è nei suoi poteri, lo faccia».

Promessa Ho giocato una sola finale, con Varese, e mi sono rotto il ginocchio, allora mio figlio, che aveva 4 anni e mezzo, mi disse: papà, lo scudetto lo vincerò io Triplete Abbiamo fatto il triplete, io come Mourinho? Sono milanista, spero che mi paragonino ad Ancelotti Per l’appetito? Anche per quello

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