NON SOLO CURARE MA PRENDERSI CURA
Recentemente Pierluigi Battista su questo giornale ha affrontato il tema del fine vita. Traeva lo spunto da una preghiera ebraica che la moglie di un illustre personaggio ha voluto trascrivere nel ricordo del marito: «Non lasciare che io muoia mentre sono ancora vivo» e sottolineava come purtroppo anche negli ultimi giorni di vita, la spending review possa farla da padrona tagliando i farmaci antitumorali perché particolarmente costosi e che, se usati, manderebbero in bancarotta del welfare. E diceva : «... c’è il rischio che due o tre anni di vita da vivi siano costretti ad esibire il cartellino con su scritto il prezzo». Riflessione sacrosanta: non si deve guardare alla spesa quando c’è la documentata possibilità che le cure abbiano successo!
Ma quante chemioterapie inutili e costose vengono fatte negli ultimi giorni di vita? Terapie che danno solo modestissimi aumenti di sopravvivenza, magari con effetti collaterali pesanti! Esaminando i dati della letteratura si evince che nell’ultimo mese di vita il 25/30 % dei malati fa ancora una inutile chemioterapia e che il 70% degli oncologi intervistati l’abbia somministrata almeno una volta, il 15% più di una. Viene data con scarsa convinzione, non si ha il coraggio di fermarsi, di dire al malato come stanno le cose e impostare precocemente cure palliative presentandole come comunque utili al governo della malattia. Spesso sono i parenti a spingere il medico a insistere e questi acconsente anche per non essere, a torto, accusato di malpractice .
«Non lasciare che io muoia mentre sono ancora vivo» significa che non si deve morire prima del tempo.
In questo contesto si gioca la grandezza di una medicina umana che non solo “cura” ma “si prende cura” offrendo speranza, compassione e consolazione. Una medicina che cerca di rendere ancora “piena la vita”, che attiva situazioni di normalità per malato e famiglia, che fa sparire il dolore e soprattutto non fa trattamenti inutili che si configurano come accanimento e per di più tolgono risorse a chi realmente ne ha bisogno.
In oncologia si tende spesso a privilegiare la risposta del tumore, ma non è detto che se questo si riduce o sparisce la qualità della vita migliori, vuoi per il disagio psicologico che la malattia comporta, vuoi per la pesantezza delle cure. Da qui la necessità di prestare attenzione maggiormente al benessere globale del paziente e soprattutto di monitorare questo parametro per tutto il periodo della sua storia clinica.