LO SCONTRO ORA SI SPOSTA SULLE PRIORITÀ DEL GOVERNO
Il termometro dell’Istituto di Statistica ha dato un piccolo dispiacere al governo. Ripropone infatti la prospettiva di un’economia dall’andamento oscillatorio; e di una ripresa non solo timida, ma senza una crescita dell’occupazione. I sessantatremila posti di lavoro in meno registrati a maggio in Italia possono anche essere minimizzati come segno di una situazione instabile; e incorniciati in una tendenza ritenuta comunque positiva. Eppure, quando alcune settimane fa l’Istat registrò segnali incoraggianti, Palazzo Chigi intravide un’inversione di tendenza duratura.
La battuta d’arresto di ieri, invece, rischia di alimentare i dubbi sull’efficacia del Jobs act, e in generale sulle priorità dell’esecutivo di Matteo Renzi. E mette un punto interrogativo sui prossimi passi del governo. Il primo riguarda l’opportunità di concentrarsi sulle riforme istituzionali. Con la crisi greca irrisolta e l’emergenza immigrazione, la correzione del bicameralismo fatta in fretta e furia semina perplessità. Tanto più che sul nuovo Senato si delinea un ripensamento dai contorni confusi
Le riforme I dati dell’Istat rilanciano i dubbi sull’efficacia del Jobs act mentre l’esecutivo insiste sulla riforma costituzionale
ma inequivocabili: se Palazzo Chigi vuole un risultato, dovrà cambiare le norme.
Per questo Anna Finocchiaro, presidente della Commissione Affari costituzionali, invita a non forzare sul «7 agosto come termine ultimativo». Sa che il governo deve cedere qualcosa alla minoranza del Pd, altrimenti rischia. Anche perché l’attenzione è su altri temi. Le opposizioni citano le cifre sul lavoro per concludere che «la ricetta di Renzi è sbagliata». Forse è un giudizio ingeneroso, ma rimane lo scarto tra narrativa e realtà. L’idea del premier secondo la quale «le riforme sono il nostro Fondo salva Stati» è suggestiva quanto, ormai, controversa.
Si scontra con resistenze annidate in un Pd che non lo asseconda: tanto da fargli dire che vuole «riprenderlo in mano». Quanto succede dal Piemonte alla Sicilia, passando per Roma e la Campania, dà l’idea di un Pd in pessima salute nei rapporti interni. E le opposizioni cercano di stringere Renzi sulla Grecia. M5S, FI e Lega hanno optato per un’offensiva contro l’Europa, e dunque a sostegno del populismo del premier Alexis Tsipras. Sulla crisi tra Ue e governo di Syriza, Renzi ha scelto invece di assecondare le posizioni della Germania.
Oggi se ne avrà una conferma nel suo colloquio con la cancelliera Angela Merkel. È una strategia obbligata. Ma viene usata dagli avversari per imputare al governo l’esclusione dalle trattative internazionali che contano. Viene citata la lettera mandata ieri da Tsipras in Europa. È arrivata alla Merkel, al francese François Hollande, al presidente della Bce, Mario Draghi e a quelli della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker, e dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem. Ma non a Palazzo Chigi, che ha dato comunque notizia di una telefonata tra Renzi e il presidente greco.