La Giordania, la Turchia e il «cuscinetto» da creare in Siria
Aquattro anni e mezzo da quando un gruppo di ragazzini è stato arrestato e torturato per aver offeso Bashar Assad (foto sopra) con una scritta in rosso sul muro della scuola, dopo oltre 220 mila morti, la città siriana dove tutto è cominciato potrebbe venire protetta dalle incursioni del regime. Circondata dai campi di pomodori, Deraa è nel sud del Paese, a pochi chilometri dal confine con la Giordania. Qui ci sono state le prime manifestazioni pacifiche nel marzo del 2011, insegnanti e impiegati chiedevano riforme, soprattutto la liberazione dei loro figli, il più giovane undicenne. Adesso il governo giordano — scrive il quotidiano Financial
Times — vuole creare una fascia di sicurezza, un’area lungo la frontiera dove allestire anche campi per i rifugiati in fuga dal conflitto. Più che per slanci umanitari, l’operazione è motivata dalla paura dei miliziani in nero. Il regno hashemita teme che gli uomini dello Stato Islamico prendano il controllo della zona e da lì s’infiltrino verso Amman. È comunque la prima volta che la comunità internazionale sembra pronta a penetrare in Siria per proteggere la popolazione. Anche i turchi stanno pensando di prendersi con i carrarmati 110 chilometri lungo il confine. L’obiettivo in questo caso è duplice: tenere lontano l’esercito irregolare del Califfo — ieri ha riconquistato il valico di Tal Abyad — ed evitare che i curdi arrivino a costruire un loro Stato che passa tra la Siria, l’Iraq e la Turchia. Non è chiaro se gli americani siano disposti a imporre anche una «no-fly zone» sulle fasce cuscinetto, a colpire i jet del regime, adesso che stanno finalizzando il negoziato nucleare con gli iraniani sostenitori del dittatore siriano. I Paesi confinanti si stanno preparando all’implosione finale di Assad. «Gli resterà meno del 20 per cento del territorio, i libri di storia lo ricorderanno come il leader che ha perso la Siria. Se gli va bene, sarà il capo dell’Alauistan, un’enclave dove rifugiarsi con il suo clan etnico», predice Amos Gilad, consigliere del ministro israeliano della Difesa. «È già finito, manca solo da fissare la data del funerale».