Aborto, la Corte boccia il Texas
La nuova sentenza sospende le leggi restrittive in vigore nello Stato conservatore Non saranno costrette a chiudere le cliniche che praticano l’interruzione di gravidanza
In piazza
È solo una decisione provvisoria che serve a tenere aperte una decina di cliniche per gli aborti in Texas in attesa di una sentenza definitiva sul caso, ma il pronunciamento della Corte Suprema di ieri segna anche sul delicatissimo tema dell’interruzione della gravidanza un cambio di rotta in senso progressista da parte di una magistratura suprema che ha ancora una maggioranza di giudici conservatori. La settimana scorsa il presidente della Corte, John Roberts, ha scelto di schierarsi coi magistrati democratici a difesa di «Obamacare», la riforma sanitaria di Barack Obama mentre subito dopo è stato un giudice conservatore nominato negli anni Ottanta da Ronald Reagan, Anthony Kennedy, a unirsi ai progressisti nella storica sentenza che ha stabilito il diritto delle coppie gay di unirsi in matrimonio in tutti i 50 Stati Usa.
Anche sull’aborto in Texas l’ago della bilancia è stato Kennedy. Con una legge di due anni fa questo Stato del Sud ha introdotto standard molto restrittivi per le cliniche nelle quali si praticano aborti. La norma, mirante a ridurre al minimo il numero di questi centri, prevede che anche i presidi ambulatoriali specializzati abbiano la struttura di veri centri chirurgici con edifici, equipaggiamenti e organizzazioni del personale analoghi a quelli degli ospedali. Dal luglio del 2013, quando l’allora governatore Rick Perry promulgò la legge, in Texas hanno dovuto chiudere i battenti oltre metà delle 41 cliniche autorizzate a interrompere le gravidanze: oggi ne sono rimaste 19 in uno Stato con 27 milioni di abitanti e una superficie di 700 mila chilometri quadrati, più del doppio dell’Italia.
La legge
La legge antiaborto, firmata nel luglio 2013 dal governatore repubblicano Rick Perry, prevede: 1) il divieto di abortire dopo la 20esima settimana di gravidanza; 2) l’obbligo che la somministrazione di medicinali abortivi sia fatta in presenza di un medico; 3) l’obbligo che i medici abbiano il permesso di effettuare ricoveri in un ospedale in un raggio di 30 miglia dalla loro clinica; 4) l’obbligo per le cliniche abortive di avere tutte gli stessi standard di personale e attrezzature, misura tesa a limitare il numero di cliniche abortive. Quest’ultimo è il punto su cui è stata chiamata a pronunciarsi la Corte Costituzionale E sono tutte concentrate in quattro aree urbane: Houston, San Antonio, Austin e Dallas. Il che significa che in tutta la parte occidentale dello Stato (San Antonio, la più a Ovest delle quattro città, è al centro del Texas) già oggi non c’è nessuna struttura che pratichi aborti. Altre 10 delle 19 cliniche superstiti che avevano ricevuto un’ingiunzione di chiusura avevano fatto ricorso in Appello. Hanno perso e allora si sono rivolte alla magistratura costituzionale che non ha ancora deciso se deliberare sul caso. Ma la decisione di lunedì sera — tecnicamente solo una sospensione dell’ordine di chiusura in attesa di ulteriori delibere — indica, implicitamente, che la Corte intende affrontare la questione.
Se così sarà, vedremo un inasprimento e un’ulteriore politicizzazione
Rotta progressista Ancora un cambio di rotta in senso progressista da parte della magistratura
del conflitto tra giudici supremi. I tre conservatori che hanno votato contro le deliberazioni di questi giorni, Clarence Thomas, Antonin Scalia e Samuel Alito, hanno criticato aspramente le decisioni della Corte. Soprattutto quella sulle nozze gay, giudicata da Scalia insensata e giuridicamente incoerente. Spaccature ce ne erano state tante in passato, ma mai fino al punto di mettere in dubbio la legittimità delle decisioni della Corte. Che, se affronterà gli aborti, lo farà tra un anno: cioè nel bel mezzo della campagna presidenziale.