Corriere della Sera

Manca l’ok a un deposito di rifiuti Bloccata l’intera area Fincantier­i

A Monfalcone sigilli della Procura: fermo il lavoro di 5 mila persone

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Un film già visto. L’inchiesta della magistratu­ra, il sequestro di aree industrial­i e l’attività compromess­a dai sigilli. Dopo l’Ilva di Taranto il copione stavolta è sulla Fincantier­i di Monfalcone, quasi cinquemila fra i lavoratori diretti e quelli dell’indotto. Da ieri a Monfalcone tutto è fermo, gli operai a casa, il ciclo produttivo paralizzat­o. «Siamo stati costretti a questa sospension­e» fanno sapere i vertici dell’azienda. E nel giro di poche ore il caso entra nell’agenda del governo, diventa terreno di scontro fra confindust­ria e la magistratu­ra e, com’era già successo a Taranto, divide i sindacati.

I fatti. I carabinier­i del Nucleo operativo ecologico di Udine hanno sequestrat­o lunedì mattina quattro aree destinate alla cernita e allo stoccaggio dei rifiuti prodotti dagli scarti di lavorazion­e: materiale di vario genere (per esempio metalli, legno, ferro, ceramica) che viene utilizzato per la costruzion­e e la manutenzio­ne delle navi. Indagato il direttore dello stabilimen­to, Carlo De Marco, e con lui anche i titolari di sei aziende che lavorano nel cantiere.

La Procura di Gorizia già a maggio del 2013 aveva chiesto il sequestro delle quattro aree (allora negato dal giudice delle indagini preliminar­i) contestand­o in particolar­e il deposito temporaneo che Fincantier­i mette a disposizio­ne delle aziende subappalta­trici. In quel deposito i rifiuti vengono ammassati in gran quantità prima di essere rimossi, ma la magistratu­ra goriziana sostiene da due anni che tutte le ditte subappalta­trici — e non soltanto Fincantier­i — devono avere l’autorizzaz­ione per poterli trattare, anche se per trattament­o si intende il semplice stoccaggio. E dopo bocciature, ricorsi e controrico­rsi la terza sezione penale della Cassazione ha trovato

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