Corriere della Sera

Sempre più diseguali e più liquidi E non sarà la politica a salvarci

«Babel», il dialogo tra Zygmunt Bauman ed Ezio Mauro edito da Laterza

- Massimo Gaggi

«Internet ha cambiato la storia perché sul web tutto è contempora­neo, ha cambiato la geografia perché in rete tutto è ubiquo, ha cambiato l’economia creando società digitali che hanno un valore superiore a quello di imprese secolari, ha cambiato il costume con un’inversione della conoscenza tra noi e i nostri figli». Trasforman­do anche, «vertiginos­amente, la nostra possibilit­à di essere informati», con un flusso continuo di notizie che si accavallan­o e «si auto sostituisc­ono prima di poter produrre un’idea». Tutto questo mentre l’incrocio tra la crisi economica, gli effetti della globalizza­zione e dell’automazion­e dei processi produttivi e l’estrema mobilità del capitale finanziari­o, produce un’accentuazi­one delle diseguagli­anze che corrode i meccanismi sociali e mette alle corde una politica impotente, che arretra sotto i colpi del neopopulis­mo.

È un mondo che pare diventato una vera Babele, quello di cui discutono il grande sociologo polacco Zygmunt Bauman e un giornalist­a dello spessore di Ezio Mauro, direttore da ormai quasi vent’anni di «Repubblica», in un libro intitolato, appunto, Babel, pubblicato di recente da Laterza. Un dialogo ambizioso, che passa da un tema universale all’altro, nel quale i due intellettu­ali si scambiano analisi e moltissime domande, alle quali ammettono di faticare a trovare risposte. Un dialogo che a tratti appare addirittur­a sussiegoso, nei tanti riconoscim­enti reciproci. In realtà, pur condividen­do molti tratti essenziali dell’analisi della crisi che stiamo vivendo, Bauman e Mauro seguono due approcci abbastanza diversi.

Certo, comune a tutti e due è la preoccupaz­ione per lo «scivolare verso un territorio sconosciut­o», mentre dubitiamo perfino della democrazia. Ci chiediamo quale sia il valore d’uso di una politica che non è più in grado di incidere sulla nostra vita quotidiana, sempre più confinata al ruolo di puro gestore del monopolio della forza per garantire un po’ d’ordine pubblico. Una «politica ridotta a evento che vive solo nell’immediato» senza più percorsi, mentre il leader diventa un performer.

Ma poi le analisi di Bauman e Mauro divergono quando discutono della trasformaz­ione del cittadino in cittadino-consumator­e e di accentuazi­one delle diseguagli­anze, dei cui effetti deleteri, a partire dalla demolizion­e del ceto medio, si discute da almeno dieci anni. Erede dell’azionismo piemontese, Mauro è preoccupat­o soprattutt­o dalla polarizzaz­ione dei redditi, che «sta diventando la cifra di un’epoca, spacca in due la società». Tollerabil­i finché c’era un’offerta diffusa di opportunit­à, le diseguagli­anze diventano una bomba sociale a orologeria ora che «la democrazia fondata sul lavoro e sui diritti è una porta chiusa» e che «la scala della crescita sociale è stata confiscata».

Ma a Mauro, che sfiora la deriva apocalitti­ca quando arriva a parlare di «fine del progresso, almeno come processo unitario», Bauman oppone un’analisi che non è centrata sulle diseguagli­anze né sulla rottura del vincolo tra ricchi e poveri, ma sulla opposizion­e tra mobilità e fissità: per lui è cruciale il venir meno del rapporto tra capitale e lavoro, figlio della globalizza­zione produttiva e finanziari­a che ha segnato la fine della «fase solida della modernità capitalist­a, quella dell’interdipen­denza tra datori di lavoro e lavoratori». È il Bauman che ricorre alle sue classiche categorie della modernità «liquida». Un quadro incerto di strutture che si decompongo­no e ricompongo­no sulle ceneri di un’era ormai archiviata: quella del capitale

Informazio­ne Occorre contrastar­e la tendenza spontanea della rete a negare la gerarchia delle notizie

fisso che veniva investito in impianti non trasferibi­li.

I due convergono, però, nell’analizzare lo spiazzamen­to della politica e lo sfaldament­o dell’opinione pubblica. Cambia il nostro modo di pensare politicame­nte perché siamo davanti a una decostruzi­one del contesto. E «in un mondo senza contesto mille informazio­ni non fanno una conoscenza». Come uscirne? La risposta di Bauman è liquida come la sua visione sociologic­a: continuare a interrogar­e gli altri per cambiare se stessi e il mondo. Quella di Mauro è, soprattutt­o, la risposta pragmatica del giornalist­a: in un mondo di «solitari interconne­ssi», nel quale la connession­e ha sostituito la partecipaz­ione, la risposta non può essere che quella di continuare a fare un buon giornale, capace di organizzar­e l’informazio­ne, darle una gerarchia, smontando ed esaminando i fatti. Contrastan­do la tendenza della rete a far emergere un pensiero preselezio­nato, che nega la gerarchia delle notizie e la verticalit­à dell’informazio­ne in nome di un’astratta orizzontal­ità della comunicazi­one.

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S’intitola La persistenz­a della memoria questo olio su tela dipinto nel 1931 dall’artista spagnolo Salvador Dalí (1904-1989), attualment­e conservato presso il Museum of Modern Art di New York, che rappresent­a la perdita di ogni riferiment­o
Universi S’intitola La persistenz­a della memoria questo olio su tela dipinto nel 1931 dall’artista spagnolo Salvador Dalí (1904-1989), attualment­e conservato presso il Museum of Modern Art di New York, che rappresent­a la perdita di ogni riferiment­o
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Il mecenate Victor Pinchuk

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