Corriere della Sera

UN’ALTRA ROMAGNA

NOI, (EX) GIOVANI NATI PIÙ A SUD CON L’ADOLESCENZ­A SEGNATA DAI PELLEGRINA­GGI AL COCORICÒ

- Alcide Pierantozz­i (San Benedetto del Tronto, 1985) ha pubblicato per Rizzoli i romanzi L’uomo e il suo amore e Ivan il Terribile. Recente è Tutte le strade portano a noi (Laterza) di Alcide Pierantozz­i

L’appuntamen­to Dal 3 al 5 luglio torna La Notte Rosa, che compie dieci anni e, per la prima volta, si allarga fino alle Marche. Uno scrittore di San Benedetto del Tronto rievoca il sogno generazion­ale dei suoi corregiona­li: la gita a Riccione

Da Senigallia a Riccione c’è un’oretta di treno, ma per risparmiar­e si può fare l’autostop. A pagamento, con la community BlaBlaCar? Ma quale BlaBlaCar, se la meta è l’eden della trasgressi­one. Il paradiso non lo paghi.

Prendete l’estate scorsa: al sopraggiun­gere della sera, una folla di ragazzi si accalcava davanti al nuovo casello di Senigallia con i pollici all’insù. L’autostop è una procedura nostalgica che comporta dieci minuti di attesa. Però funziona. Di norma i marchigian­i alla guida tirano dritto. Solo di tanto in tanto accosta, inconfondi­bile, un’antica Citroën Due Cavalli. Il conducente tipo-da-spiaggia è sulla cinquantin­a, anzi va per i sessanta. Spesso possiede certezze incrollabi­li su certe faccende inerenti il senso della vita. Avete presente il tipo? Passa al setaccio ogni singolo ricordo delle sue estati negli anni 70 e, dato che a quei tempi le marchigian­e si concedevan­o poco, lui migrava a Cattolica o Riccione in sella a una Vespa 50. La ragione delle trasferte era solo una: l’arrembaggi­o alle straniere. Tedesche, svedesi.

È sempre strano il rapporto che intercorre tra malinconia e morale: se mai capitasse anche a voi di scroccare un passaggio a uno così, scoprirete che il tono di questi discorsi è talmente blues, che tenterete di cavarvela con la più banale delle sentenze: «Eh sì, erano altri tempi». Una volta raggiunta Riccione, tuttavia, il dubbio che la città descritta dal conducente possa essersi sgretolata non vi sfiorerà nemmeno, specie quando in viale Ceccarini la musica dance si starà riversando dalle boutique fino in strada. Naturalmen­te, se gli autostop nostalgici fossero esistiti nel 2000, a noi un passaggio non ce l’avrebbe dato nessuno.

Vestivamo come Marilyn Manson, ecco perché. In fondo, la città di provenienz­a dei marchigian­i puoi ricavarla quasi sempre dall’abbigliame­nto. A San Benedetto sono inappuntab­ili ma senza gusto (le signore, ancora, abbinano), da Grot-tammare a Porto San Giorgio « stile aggressivo » significa «unghie con french colorate» ispirate a Chanel 2012, eccetera (impera l’ordinario, magari l’ordinario fricchetto­ne, ma sempre ordinario è). Noi invece andavamo in Romagna con la pretesa dell’esibizioni­smo: i capelli laccati tinti di rosso, la matita sulle palpebre anche per i maschi, le borchie, i tatuaggi all’hennè. Chi mai si sarebbe arrischiat­o a caricare degli alieni? A volte da diciottenn­i restavamo anche nei paraggi, al Mahè di Pedaso, o negli chadance let di Gabicce Mare. Certo, nulla che potesse reggere il paragone con viale Ceccarini: pure le commesse a Riccione erano star. Ogni turista, poi, era una storia a sé; da Milano si spingevano fin quaggiù nei weekend i figli di papà che chiamavano noi delle Marche pirlott o ciulandari. Da Bergamo venivano eleganti signore che dicevano di bere il Martinetto. E poi c’era quel rumore costante: il ciac ciac degli zoccoli sull’asfalto. C’era chi era divorato dall’ambizione di entrare al mitico club Pascià oppure – e capitava con una certa frequenza – si restava fino a tarda sera sotto gli ombrelloni, davanti alla riva lucente, per scrollarsi di dosso il sapore di mare.

Prendi i romagnoli, dicono ancora i nostri nonni. Sono capaci di trasformar­e il niente. Palestre sulle spiagge, spruzzini per sciacquare i piedi, le vasche idromassag­gio vicino alla battigia, gli ombrelloni che si aprono col telecomand­o. I nostri nonni ignorano che la Romagna ha un fascino meno facile da cogliere, che è l’elettricit­à arcaica della festa.

E il primato della festa, quando avevamo diciotto anni, spettava al Cocoricò. La trionfante piramide di vetro (che è poi il tetto del locale) calava una specie di coperchio sulla nostra giovinezza. Per proteggerl­a. Noi ci strusciava­mo gli uni con gli altri e cantavamo.

Un canto unico, che addolciva la vita, potevi sentirlo dalle Marche, dall’Abruzzo. I ragazzi si baciavano con i ragazzi, le ragazze con le ragazze. Ma nessuno vuole abbandonar­si alla nostalgia. Bisogna mettere in conto un aspetto importante delle trasferte di noi marchigian­i in Romagna nell’anno 2000, quando ormai gli orizzonti di gloria della riviera si erano affievolit­i. È un aspetto meno visibile, segreto: è il rimpianto di un’esperienza irripetibi­le, quella di aver scavalcato allo stesso tempo due età: l’adolescenz­a e il secolo. Per noi è stato come cambiare pelle due volte. E senza le notti in Romagna sarebbe stata dura.

Nell’anno 2000 è stato come se avessimo scavalcato allo stesso tempo due età: la giovinezza e il secolo

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