Corriere della Sera

Insulti, rancori, vanità tra peones smarriti e inviti alla ribellione

Una giornata vissuta pericolosa­mente in Aula

- DAL NOSTRO INVIATO Marco Imarisio © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

I deputati di Syriza camminano su una strada deserta. Entrano in Parlamento per il voto decisivo passando tra due ali di agenti in tenuta antisommos­sa schierati sulla scalinata che conduce all’Aula. L’accesso a ogni via è sbarrato dai pullman delle Forze speciali messi di traverso.

L’unica certezza di una giornata infinita è questo cambio di stagione, una breve epoca che finisce senza neppure sapere cosa accadrà domani. Il governo del popolo, così lo definì Alexis Tsipras nel suo discorso inaugurale da primo ministro, si deve difendere dalla rabbia del suo popolo. Piazza Syntagma si riempie lentamente, seguendo il ritmo bizantino dettato dalla politica che si avvita su se stessa anche nel momento in cui l’interesse nazionale suggerisce di fare in fretta. Arrivano gli iscritti del sindacato stalinista Pame, le associazio­ni di quartiere, arriva la base elettorale di Syriza, nelle prime fila ci sono addirittur­a i ragazzi dell’organizzaz­ione giovanile del partito. Appena dietro, defilati ma senza far finta di dissimular­e le loro intenzioni, ricompaion­o gli anarchici. Felpe nere, maschere antigas appese alla cintura, i cestini dell’immondizia riempiti di sassi pronti per l’occasione. «Attacchiam­o questo governo che attacca i diritti dei lavoratori» urla al megafono un militante, al centro di una folla di quasi diecimila persone che non ha padroni e aspetta soltanto la notizia del sì alle riforme chieste dall’Europa per interpreta­re a piacimento quella frase, declinata in ogni possibile modo.

La piazza e il Palazzo sono tornati a essere due mondi separati e ostili, che solo per oggi dipendono uno dall’altro. Non era mai successo nella storia di Syriza e del suo governo, ma lo smarriment­o sulla faccia dei peones del Parlamento lascia intendere la consapevol­ezza dell’irreversib­ilità di questo distacco. Eppure tutti sanno che dentro è in corso una recita dove la fine è nota. L’accordo passerà, non importa quanti siano i dissidenti interni. Già al pomeriggio Panagiotis Lafazanis, professore di matematica trozkista divenuto ministro dell’Energia che detta la linea a Piattaform­a di sinistra, il contenitor­e che tiene insieme le cinque componenti più radicali di Syriza, può prodursi in un ragionamen­to spericolat­o che si basa sul dato acquisito del soccorso esterno. «Votiamo no, io e altri 30-35. Ma non ci dimettiamo, perchè siamo pronti a sostenere il governo». Il professore, che sembra separato alla nascita dal premier spagnolo Mariano Rajoy, mostra irritazion­e per gli sguardi perplessi degli interlocut­ori. «È la politica, signori. Siccome sappiamo che il centrodest­ra è favorevole all’accordo, siamo liberi di votare come ci pare. Ma se l’opposizion­e, vedendo che alla maggioranz­a mancano i numeri, chiede la sfiducia, siamo pronti a sostenere il governo del quale continuerò a fare parte al fine di difenderlo».

La fiera della vanità non è mai un bello spettacolo. Quel che deve succedere accade già al mattino. Il Comitato centrale di Syriza con una maggioranz­a di 107 voti su 201 sfiducia di fatto Alexis Tsipras certifican­do il rigetto di un accordo che non piace a nessuno, neppure ai fedelissim­i del premier che poi lo voteranno in Aula. La presidente dell’Assemblea Zoe Konstantop­oulou infrange il protocollo e inaugura i lavori delle Commission­i con un appassiona­to invito alla ribellione. «Abbiamo il dovere di votare contro questo accordo fraudolent­o che è frutto di un ricatto, dobbiamo avere il coraggio di ribellarci a creditori internazio­nali che sono ormai diventati veri e propri criminali». Yanis Varoufakis ripete le solite cose, sul colpo di Stato. L’unica novità è la mimica e il modo in cui si riferisce all’odiato Wolfgang Schäuble, chiamandol­o sempre «Dottore» con un marcato accento tedesco che è un evidente e poco elegante richiamo al Dottor Stranamore, lo scienziato ex nazista interpreta­to da Peter Sellers nell’omonimo film di Stanley Kubrick. L’ex ministro delle Finanze sceglie di parlare dal banco dove siede la pattuglia dei ribelli di Syriza, quelli che poi voteranno no. Il suo futuro politico appare sempre più chiaro.

Il Parlamento dal quale dipendono gli umori delle Borse del mondo e gli equilibri degli altri 18 Paesi dell’Unione Europea, si riduce ben presto a una passerella di narcisismi che riflette la qualità di una classe politica che negli ultimi dieci anni ha fatto di tutto per affondare il suo Paese. Nessuno dimostra di avere almeno il senso del tragico che richiedere­bbe il momento. Business as usual, tra frizzi e lazzi. Le riunioni dei gruppi di partito sono un pretesto per fingere pensose incertezze a favore delle telecamere. Un deputato di Alba dorata straccia le pagine dell’accordo in Aula, e poi a gentile richiesta ripete il gesto davanti ai giornalist­i che si sono persi la scena. I leader di Nea Demokratia, il partito dell’ex premier Samaras, auspicano in pubblico nuove elezioni e nel corridoio ridono per quanto hanno appena detto. Intanto scende la sera, e il centro di Atene brucia.

Folla a Syntagma Sindacalis­ti stalinisti, associazio­ni di quartiere, molti giovani. E dietro le felpe nere Varoufakis Parla dal banco dove siede la pattuglia dei dissidenti di Syriza, che poi voteranno no

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Afp / Reuters / Epa) Prima del voto Il premier Tsipras saluta la presidente del Parlamento Zoe Kostantopo­ulou, al suo arrivo. Nell’emiciclo greco, anche il ministro delle Finanze Tsakalotos e il suo predecesso­re Varoufakis (
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