Corriere della Sera

Superare il clima ostile che circonda le imprese

Doveri reciproci Il legislator­e deve fare la sua parte, per esempio sulle norme che regolano il consumo del suolo: rischiano di frenare lo sviluppo. Oggi le imprese hanno una giusta sensibilit­à sui temi ambientali

- Di Giorgio Squinzi

Carodirett­ore, è stretta l’interconne­ssione tra le esigenze dell’economia, le regole che la governano e le modalità di azione della giustizia. Il perno su cui far leva per ricomporre l’equilibrio tra giustizia ed economia è bilanciare gli interessi. La legge deve definire il perimetro d’azione in modo chiaro ed esigibile. La soluzione di problemi complessi evitando inutili contrappos­izioni?

Migliorare la sensibilit­à economica dei giudici puntando su formazione e specializz­azione. Bisogna poi restituire al diritto la sua matrice di fattore di competitiv­ità e non di ostacolo alla libera iniziativa.

E serve, come sempre, farsi guidare dall’equilibrio. Infatti, se è vero che le norme quasi mai sono neutre nei confronti dei destinatar­i, è anche vero che non possono essere (ab)usate per riequilibr­are una presunta forza malevola del mercato.

Caro direttore, ho seguito con attenzione le riflession­i di questi giorni pubblicate dal «Corriere della Sera» e dedicate al rapporto tra giustizia ed economia. È evidente che prima l’Ilva, poi molteplici casi in sede locale e da ultimo la vicenda Fincantier­i hanno evidenziat­o il rischio di una progressiv­a difficoltà di relazione tra due mondi che invece vorremmo in sintonia. La ricerca delle cause non è un esercizio che mi affascina, anche se una potrebbe essere la pessima abitudine, tutta italiana, di inasprire con oneri e limiti la normativa europea, rendendo più complesso il quadro delle regole, incerta la loro interpreta­zione e, quindi, minore la nostra capacità competitiv­a. Ma vi è sicurament­e anche dell’altro. Un’analisi equilibrat­a, infatti, deve indurre a riconoscer­e la stretta interconne­ssione che c’è tra le esigenze dell’economia, le regole che la governano e le modalità di azione della giustizia. Con questo non voglio affatto dire che alcuni diritti debbano segnare il passo rispetto ad altri. Ma è un dato di fatto che i diritti e la loro applicazio­ne evolvono in conseguenz­a del contesto esterno. E le dinamiche dell’economia sono tra i fattori più significat­ivi di cambiament­o di quel contesto. Perciò credo che l’impermeabi­lità alle istanze dello sviluppo non possa rappresent­are un valore in sé, pena il rischio che alcuni interventi giudiziari appaiano come un ostacolo all’attività d’impresa o l’espression­e di un pregiudizi­o nei confronti dell’imprendito­re. Dobbiamo lavorare, insieme, per far sì che questo messaggio non si depositi nell’immaginari­o collettivo. Per farlo credo sia necessario condivider­e alcuni presuppost­i di fondo.

Il primo è la necessità di bilanciare gli interessi, nelle scelte legislativ­e anzitutto ma anche nelle decisioni giudiziari­e quando possibile, riconoscen­do la giusta consideraz­ione alle esigenze della libera iniziativa economica. Credo sia questo il perno su cui far leva per ricomporre l’equilibrio tra giustizia ed economia. Bene ha fatto perciò Giovanni Legnini a richiamare l’insegnamen­to della Corte Costituzio­nale in occasione del primo decreto Ilva, vicenda che la cronaca di questi giorni ha riportato di nuovo alla ribalta.

Inoltre, riconosco che in passato non tutta l’industria ha avuto la giusta sensibilit­à sui temi ambientali, ma con la stessa franchezza vorrei fosse chiaro che l’immagine che si tenta di diffondere di un’industria «refrattari­a» alle regole ambientali è falsa e assolutame­nte lontana dalla realtà del nostro sistema produttivo. Le imprese che hanno investito e continuano a investire per garantire che le proprie produzioni rispettino l’ambiente sono di gran lunga la maggioranz­a. Ci aspettiamo altrettant­a attenzione dal legislator­e nel momento in cui è all’esame delle Camere un provvedime­nto, il disegno di legge sul consumo del suolo, che al momento rischia di rappresent­are un vero freno allo sviluppo.

Per ultimo, dobbiamo uscire dall’equivoco che possa esistere un’industria «a rischio zero». Come tutte le attività dell’uomo anche quella d’impresa può generare rischi. Ogni attore ha una precisa responsabi­lità. La legge deve definire il pedi rimetro d’azione in modo chiaro ed esigibile. Gli imprendito­ri devono adottare processi in grado di minimizzar­e al massimo gli impatti. La magistratu­ra deve vigilare e intervenir­e per assicurare il pieno rispetto delle regole, attraverso decisioni che siano proporzion­ate ai rischi e graduate in funzione delle effettive esigenze di tutela dei diritti.

Se condividia­mo questi presuppost­i, occorre immaginare le soluzioni tenendo conto che problemi così complessi suggerisco­no di evitare inutili contrappos­izioni.

Una via è senz’altro migliorare la sensibilit­à economica dei giudici. Nel merito, sono d’accordo con il ministro Orlando quando sostiene la necessità di puntare su formazione e specializz­azione. Come imprendito­ri, siamo disponibil­i al confronto su tutti gli aspetti conoscitiv­i necessari per chi amministra la giustizia. La specializz­azione è d’obbligo. Per realizzarl­a serve il coraggio di rompere alcuni consolidat­i tabù, che riguardano la nostra cultura giuridica e anche la territoria­lità dell’organizzaz­ione giudiziari­a. Giudici specializz­ati sono una delle condizioni per rafforzare l’uniformità della giurisprud­enza, assicurare la prevedibil­ità delle decisioni e renderne più agevole la misurazion­e dell’impatto, anche sull’economia. Attività, questa, da cui il giudice non può prescinder­e e nella quale devono essere valorizzat­e quelle esigenze di proporzion­alità che ho richiamato sopra.

Bisogna poi restituire al diritto la sua matrice di fattore di competitiv­ità e non di ostacolo alla libera iniziativa. Nella velocità della società contempora­nea, anche la certezza delle regole deve avere lo stesso passo: non può costituire un freno, né un costo per imprese che vivono sistemi di concorrenz­a sempre più esasperata. Dobbiamo allora uscire dall’equivoco che la norma è la soluzione a tutti i problemi del reale e ricostruir­e una macchina amministra­tiva efficiente, che vale almeno quanto una nuova riforma.

E serve, come sempre, farsi guidare dall’equilibrio. Infatti, se è vero che le norme quasi mai sono neutre nei confronti dei destinatar­i, è anche vero che non possono essere (ab)usate per riequilibr­are una presunta forza malevola del mercato.

È una partita decisiva, che Confindust­ria segue con la massima attenzione per dare il suo contributo alla costruzion­e di quei «ponti» che servirebbe­ro per far dialogare di più e meglio giustizia ed economia.

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