Il festival senza fine del luogo comune
La crisi greca (e dell’Europa) ha ridato fiato agli stereotipi: tedeschi «arroganti», francesi «infidi», italiani «opportunisti»
Lacrisi greca? Tutta colpa della Germania. Il boicottaggio è la quintessenza dello stereotipo: confonde governi e popoli, nazioni e Stati. La forza del luogo comune è invincibile.
Ecerto, ci mancava il «boycott» contro la Germania. La cattiva Germania, la perfida Germania, l’arrogante Germania, l’imperiale Germania, «la grante Cermania» per rendere più vivido, più chiaro, più ovvio, più leggibile il grande luogo comune di cui il paventato boicottaggio contro i tedeschi rappresenta il monumento più triste e ovvio. Nel frattempo, mentre gli alacri boicottatori, credendo di fare cosa buona per la Grecia, per l’Europa, per il loro spirito un po’ ammaccato e spento, fanno la lista dei prodotti del bieco teutonico da mettere al bando, tutti i luogocomunisti, ci si è messo anche Renato Brunetta, snocciolano i loro stereotipi contro Angela Merkel, la più cattiva dei cattivi, detestata, insultata, diffamata, colpevole di ogni cosa: di voler affamare il popolo greco, di voler fare con l’euro (questo è il luogo comune più stupido e frequentato) quello che Hitler non è riuscito a fare con i carri armati, di voler imporre la sua ottusa disciplina, di non essere bella e di avere qualche chilo di troppo.
Tutta colpa della Germania. Il boicottaggio è la quintessenza dello stereotipo perché confonde governi e popoli, nazioni e Stati. Non si critica con il boicottaggio dei prodotti di una nazione la politica di un governo ma un intero popolo demonizzato, confinato in un recinto infetto. E infatti i boicottatori per eccellenza, quelli contro Israele, non hanno la minima decenza nel distinguere un popolo dal suo governo paragonato al demonio da scacciare sin sui banconi di un supermercato. Adesso però i boicottatori anti-Germania, per un minimo di coerenza e di decenza, devono aggiungere alla lista del sabotaggio antitedesco, tutti. Mica solo la Bmw o la Volkswagen, ma anche le traduzioni di Hans Magnus Enzensberger, le musiche suonate dall’orchestra di Berlino, i saggi di Jurgen Habermas, i calciatori che vanno in giro per il mondo: che ci fa Schweinsteiger al Manchester United se l’orrido teutonico deve essere boicottato. I luoghi comuni sono cose rie, gli stereotipi hanno la loro maestà da omaggiare. Non è che se si decide di boicottare la Germania poi, per una resipiscenza improvvisa, si dice questo sì, questo no. Il luogo comune, che parla attraverso i boicottatori, non consentirebbe questa sciatteria.
Perché purtroppo la crisi greca ha rivelato il lato peggiore di tutti noi. Abbiamo, in misura maggiore o minore, partecipato al festival del luogo comune, alla sagra dello stereotipo, alla parodia delle maschere nazionali come nelle barzellette in cui si comincia con «c’è un tedesco, un greco e un italiano…» eccetera eccetera. Tutti i popoli sono diventati la loro caricatura. La dissoluzione annunciata della casa comune europea ha rimesso sul palcoscenico i tic che sopravvivono nei luoghi comuni, l’immagine convenzionale che ciascuno di noi ha dell’altro. Anche per noi italiani è stato così in queste settimane: mediatori, conciliatori che cercano di darsi una visibilità abusiva, un po’ con Tsipras e un po’ con la Merkel. Ecco come ci ha descritto lo stereotipo.
In fondo di noi si è sempre detto che non finiamo mai una guerra dove l’abbiamo cominciata, non è vero? E nei manuali di storia non si smette di parlare dell’Italia che nel 1914 ci mise ben un anno per decidere da che parti schierarsi, se con la Triplice o con l’Intesa, oppure se non schierarsi per niente in una posizione di equidistante neutralismo. Lo stereotipo antiitaliano è tornato. Così come è tornata l’avversione per i francesi furbi, infidi, sfuggenti.
Con Hollande che un giorno fa il vertice con la Merkel, e il giorno successivo allunga la mano tesa a Tsipras. Anche qui, come per la Germania e per l’Italia, il solito meccanismo fondamentale del luogo comune: la confusione tra un popolo e il suo governo, la mescolanza indebita di antropologia e di politica. Anche con i finlandesi e con gli Stati del Nord Europa non sono andati per il sottile: glaciali e intransigenti, testoni e ingenerosi, ammalati di rigorismo e senza sentimenti. Per non dire dell’orgia di luoghi comuni e di stereotipi che si è rovesciata sulla Grecia. La Grecia dei fannulloni, i greci che non sanno onorare la parola data, i greci che se ne stanno tranquilli al sole e figurarsi se si occupano del sistema pensionistico in default, con i ristorantini sul mare che sembrano la pubblicità di un noto amaro e figurarsi se possono pensare a come ripagare i debiti, «l’abuso dell’ouzo» che è incompatibile con una moderna cultura industriale.
Mai come in questo periodo il governo greco è stato mischiato all’antropologia del suo popolo. Non c’è una politica giusta o sbagliata, ma una predisposizione dell’anima comune a un’intera comunità nazionale. Non si dice più «il governo greco» ma oramai si dice «i greci». Così come i boicottatori seriali non diranno più «il governo tedesco» ma «i tedeschi» oppure la Merkel come personificazione, incarnazione di tutti i terribili vizi di cui i tedeschi sarebbero inguaribili portatori. La forza del luogo comune è invincibile. Lo stereotipo batte ogni argomentazione razionale. Per questo danno il loro meglio quando le cose vanno peggio.