Tsipras ora si prepara alla battaglia interna Verso il voto in autunno
Pronto il rimpasto di governo. Syriza a rischio scissione
Con alcuni dei suoi amici più stretti, Yanis Varoufakis ieri pomeriggio ha definito l’ultima piroetta di Alexis Tsipras in termini che vanno oltre la svolta politica: «Ha compiuto una mutazione genetica». Così l’ex ministro delle Finanze non voleva chiudere la partita con il suo premier, ma aprirne un’altra: appare sempre più ineluttabile che Syriza nei prossimi due mesi si spezzi in due tronconi, consumando una tipica scissione della sinistra radicale. Da un lato i pragmatici o gli opportunisti - secondo i punti di vista - dall’altro i puri o gli idealisti. E quando sarà il momento Varoufakis si farà sicuramente notare fra i secondi, disponibile a operare al vertice di un nuovo partito che rifiuta i compromessi di Tsipras in Europa.
Il primo ministro che ormai sta pilotando la Grecia verso il terzo programma di prestiti in cinque anni, se lo aspetta già: da quando la maggioranza nel comitato centrale di Syriza e 39 deputati del gruppo su 149 hanno rifiutato di sostenere un nuovo piano di sacrifici, per lui si è aperta una fase nuova.
Non sarà priva di trappole. Si trattasse semplicemente di un cambio di linea, ad Alexis Tsipras per riportare l’ordine basterebbe un rimpasto di governo e magari la prospettiva di un voto anticipato. Sono del resto entrambi passaggi inevitabili. Il licenziamento dei ministri che l’altra notte hanno votato contro i primi passi del memorandum europeo, a partire dal titolare dell’Energia Panagiotis Lafazanis, è già in preparazione e ieri è stato solo rinviato. Quanto al voto, ieri il ministro dell’Interno Nikos Voutsis ha già anticipato quello che tutti in Grecia si aspettano già: è probabile a settembre o ottobre.
In Grecia la prerogativa di convocare le elezioni spetta al primo ministro, purché convinca il presidente della Repubblica Giorgos Provopoulos che sussistono ragioni effettive. In quel caso la Costituzione assegna ai partiti il potere di formare liste bloccate, dunque i leader sarebbero in condizioni di nominare di fatto l’intero Parlamento. In una Syriza ancora unita, le figure a lui sgradite resterebbero fuori.
Può essere una prospettiva allettante per il premier: andare alle urne subito dopo aver firmato il programma di aiuti da oltre 80 miliardi di euro. Prima si vota, e meno peserà su Tsipras l’impopolarità che diventa inevitabile non appena le misure del memorandum europeo iniziano a mordere.
Ma se ha ragione Varoufakis e quella del premier è una «mutazione genetica», non solo una svolta, allora il leader greco ha bisogno di qualcosa di più complesso da mettere insieme in poco tempo: gli serve una nuova classe dirigente, con cui spingere il Paese all’ennesima traversata del deserto. Il problema di Tsipras è che non può permettersi il lusso del tempo, perché l’applicazione delle condizioni dei creditori è già scattata in anticipo sull’avvio del negoziato per il programma di riforme. Prima di qualunque nuovo esborso, i governi vogliono vedere ad Atene un esecutivo credibile e schierato su posizioni omogenee.
Tutte queste contraddizioni pesavano ieri sera nelle stanze del Maximou dove per ore il primo ministro si è chiuso con la cerchia dei fedelissimi: fra loro il vicepresidente del governo Yannis Dragasakis, 68 anni, il quarantenne braccio destro Nikos Pappas, e Spiros Sagas, un avvocato d’affari al quale si affidano i più influenti oligarchi.
Per stemperare la tensione dentro Syriza, Tsipras ieri ha scelto di non procedere subito al rimpasto. Ieri al Maximou sul tavolo del suo gruppo di soli uomini, le donne essendo quasi sempre comprimarie in Grecia, è rimasta soprattutto una questione: come cambiare il governo in corsa, senza voltare le spalle all’identità politica del premier.
Tsipras può puntare per esempio su politiche di sinistra che non dispiacciono ai creditori: lottare contro la corruzione degli oligarchi greci, togliere loro le concessioni gratuite sulle frequenze radiotelevisive e metterle all’asta. Significherebbe andare contro i grandi oligopolisti del Paese e riaffermare una vocazione a difesa dei deboli. Per ora però il premier ha dimostrato troppo poco appetito, o poca energia, per aprire un nuovo fronte interno oltre a quello con Bruxelles.