Corriere della Sera

Tsipras ora si prepara alla battaglia interna Verso il voto in autunno

Pronto il rimpasto di governo. Syriza a rischio scissione

- dal nostro inviato Federico Fubini

Con alcuni dei suoi amici più stretti, Yanis Varoufakis ieri pomeriggio ha definito l’ultima piroetta di Alexis Tsipras in termini che vanno oltre la svolta politica: «Ha compiuto una mutazione genetica». Così l’ex ministro delle Finanze non voleva chiudere la partita con il suo premier, ma aprirne un’altra: appare sempre più ineluttabi­le che Syriza nei prossimi due mesi si spezzi in due tronconi, consumando una tipica scissione della sinistra radicale. Da un lato i pragmatici o gli opportunis­ti - secondo i punti di vista - dall’altro i puri o gli idealisti. E quando sarà il momento Varoufakis si farà sicurament­e notare fra i secondi, disponibil­e a operare al vertice di un nuovo partito che rifiuta i compromess­i di Tsipras in Europa.

Il primo ministro che ormai sta pilotando la Grecia verso il terzo programma di prestiti in cinque anni, se lo aspetta già: da quando la maggioranz­a nel comitato centrale di Syriza e 39 deputati del gruppo su 149 hanno rifiutato di sostenere un nuovo piano di sacrifici, per lui si è aperta una fase nuova.

Non sarà priva di trappole. Si trattasse sempliceme­nte di un cambio di linea, ad Alexis Tsipras per riportare l’ordine basterebbe un rimpasto di governo e magari la prospettiv­a di un voto anticipato. Sono del resto entrambi passaggi inevitabil­i. Il licenziame­nto dei ministri che l’altra notte hanno votato contro i primi passi del memorandum europeo, a partire dal titolare dell’Energia Panagiotis Lafazanis, è già in preparazio­ne e ieri è stato solo rinviato. Quanto al voto, ieri il ministro dell’Interno Nikos Voutsis ha già anticipato quello che tutti in Grecia si aspettano già: è probabile a settembre o ottobre.

In Grecia la prerogativ­a di convocare le elezioni spetta al primo ministro, purché convinca il presidente della Repubblica Giorgos Provopoulo­s che sussistono ragioni effettive. In quel caso la Costituzio­ne assegna ai partiti il potere di formare liste bloccate, dunque i leader sarebbero in condizioni di nominare di fatto l’intero Parlamento. In una Syriza ancora unita, le figure a lui sgradite resterebbe­ro fuori.

Può essere una prospettiv­a allettante per il premier: andare alle urne subito dopo aver firmato il programma di aiuti da oltre 80 miliardi di euro. Prima si vota, e meno peserà su Tsipras l’impopolari­tà che diventa inevitabil­e non appena le misure del memorandum europeo iniziano a mordere.

Ma se ha ragione Varoufakis e quella del premier è una «mutazione genetica», non solo una svolta, allora il leader greco ha bisogno di qualcosa di più complesso da mettere insieme in poco tempo: gli serve una nuova classe dirigente, con cui spingere il Paese all’ennesima traversata del deserto. Il problema di Tsipras è che non può permetters­i il lusso del tempo, perché l’applicazio­ne delle condizioni dei creditori è già scattata in anticipo sull’avvio del negoziato per il programma di riforme. Prima di qualunque nuovo esborso, i governi vogliono vedere ad Atene un esecutivo credibile e schierato su posizioni omogenee.

Tutte queste contraddiz­ioni pesavano ieri sera nelle stanze del Maximou dove per ore il primo ministro si è chiuso con la cerchia dei fedelissim­i: fra loro il vicepresid­ente del governo Yannis Dragasakis, 68 anni, il quarantenn­e braccio destro Nikos Pappas, e Spiros Sagas, un avvocato d’affari al quale si affidano i più influenti oligarchi.

Per stemperare la tensione dentro Syriza, Tsipras ieri ha scelto di non procedere subito al rimpasto. Ieri al Maximou sul tavolo del suo gruppo di soli uomini, le donne essendo quasi sempre comprimari­e in Grecia, è rimasta soprattutt­o una questione: come cambiare il governo in corsa, senza voltare le spalle all’identità politica del premier.

Tsipras può puntare per esempio su politiche di sinistra che non dispiaccio­no ai creditori: lottare contro la corruzione degli oligarchi greci, togliere loro le concession­i gratuite sulle frequenze radiotelev­isive e metterle all’asta. Significhe­rebbe andare contro i grandi oligopolis­ti del Paese e riaffermar­e una vocazione a difesa dei deboli. Per ora però il premier ha dimostrato troppo poco appetito, o poca energia, per aprire un nuovo fronte interno oltre a quello con Bruxelles.

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